Addio alla Roma per Tiago Pinto dopo tre anni: tra alti e bassi, il bilancio della sua esperienza in giallorosso
Il signor Tiago Pinto da Régua saluta e se ne va quasi in dissolvenza. Il general manager portoghese ha chiuso la sua avventura a Roma ed esce di scena con la stessa discrezione con cui era entrato e con cui ha vissuto i suoi tre anni a Trigoria, da quando i Friedkin lo scelsero e gli affidarono le strategie sportive del club. Il commiato coincide forse con il mercato che globalmente è piaciuto di più alla gente, inevitabilmente acceso dall’investimento che la proprietà ha accordato su Tommaso Baldanzi, dopo Angeliño, altra operazione in entrata funzionale alle esigenze del nuovo 4-3-3 di Daniele De Rossi. Più le uscite, da sempre un cavallo di battaglia per Pinto, che tra giovani e giocatori fuori progetto ha smaltito tanto, quasi tutto lo smaltibile.
Una cosa resta, oltre ad una stima trasversale che si riscontra sul professionista tra operatori di mercato e colleghi: il gm portoghese ha lavorato per la Roma fino all’ultimo secondo come se oggi ne fosse ancora dentro, anzi lo ha fatto sapendo che scorrevano gli ultimi giorni: in silenzio e con professionalità. E ha sempre messo la faccia nelle questioni anche più spinose della Roma, in certe operazioni di mercato molto dibattute in negativo (le cessioni gratis di Dzeko e Pedro, e poi Shomurodov, Viña, Renato Sanches): un atteggiamento, se non vogliamo dire raro, almeno non comune. Angeliño e Baldanzi sono due innesti che rispecchiano probabilmente più di tutti la sua idea di calcio e di Roma. Come lo avrebbe rappresentato Frattesi, voluto, inseguito, senza portafoglio in quel caso. E alla fine finito all’Inter.
Tiago Pinto, un dirigente che ha lavorato (tanto) e che ha certamente anche sbagliato, fatto errori come accade proprio a chi lavora. Ma ha anche costruito, rivoluzionato e migliorato i vari dipartimenti della Roma dei Friedkin: un lavoro meno visibile, magari. Compiuta o no la missione – questo lo diranno i posteri – Tiago Pinto saluta la Roma. Intanto è l’unico gm, o ds (fate voi), ad aver vinto un titolo europeo con la Roma: ai tempi della Coppa delle Fiere le società avevano strutture diverse, il club giallorosso era Anacleto Gianni alla presidenza e Alfredo Foni in panchina. Per il resto le ristrettezze del fair play finanziario sono cosa arcinota, hanno obbligato Pinto (ma soprattutto la Roma) ad agire e creare dentro un labirinto in cui si è consumato un estenuante lavoro che sulle cessioni ha costruito il piano alchimistico degli acquisti a costo zero e dei colpi condizionati dalle ormai famose storie cliniche. I 160 milioni e oltre di cessioni sono un tesoretto che spalmato negli anni ha dato aria e margine di manovra alla Roma.
Ultima cosa affatto da poco, quella vocina interna ai muri di Trigoria che, dopo l’arrivo di Daniele De Rossi, ha provato a convincerlo… “sicuro che non puoi ripensarci?”. Lo stesso De Rossi che poi ha voluto tributargli un saluto degno: “Sta andando via ma lavora come se dovesse restare, mi è vicino ogni giorno e il suo lavoro qui sta finendo”. La risposta non ha cambiato (non poteva) il senso dei pensieri che lo avevano portato davanti alla proprietà (un paio di mesi fa, si dice) a dire “credo che la mia missione qui sia quasi compiuta”. Tra errori e colpi, sempre con orgoglio e misura. Le uscite di Kumbulla e Belotti (un prestito secco da cui la Roma ha incassato 750 mila euro), in questa sessione, sono state quelle utili a fare spazio ad Angeliño e a Baldanzi. E già, il mercato di gennaio, tra entrate e uscite, è stato esaltato dai tifosi sui social. E non è sfuggita a tanti quella dissolvenza mediatica operata dal club nelle foto di rito con il talento dell’Empoli che probabilmente il gm portoghese avrebbe meritato nel suo ultimo giorno di lavoro a Trigoria, avendo ideato e costruito l’affare che poi, come sempre, i Friedkin hanno reso possibile con una mossa finanziaria vincente, quei dieci milioni pagati subito più cinque poi. Cala il sipario. Quel che resta è Tiago… Punto.