NOTIZIE AS ROMA DICHIARAZIONI FONSECA – A 9 giorni dal ritorno in campo ufficiale della AS Roma, il tecnico giallorosso Paulo Fonseca, ha rilasciato un’intervista al quotidiano portoghese ‘Publico’ (qui l’intervista) nella quale ha affrontato molti temi, dal suo futuro a quello di Justin Kluivert.
La Serie A ritorna il 20. Ritiene che ci siano le condizioni per tornare?
Sì, credo che ci siano tutte le condizioni. C’è un protocollo molto rigoroso che dobbiamo rispettare. La Roma è un esempio in questo senso. Stiamo lavorando in condizioni di massima sicurezza, stiamo testando regolarmente tutti. La situazione sta migliorando nel paese e credo che ci siano tutte
le condizioni.
Come vede la prospettiva dei giochi a porte chiuse?
E’ lo scenario possibile. Capisco che al momento è difficile giocare con gli spettatori, ma penso che a breve termine troveremo il modo di portare i tifosi allo stadio. Questo è strano per noi, è qualcosa che non vogliamo, vogliamo vivere la partita con i tifosi.
Com’è stata una giornata tipo durante la quarentena?
Svegliarmi, fare colazione con la mia famiglia, giocare con mio figlio, fare sport, mettere mio figlio a dormire e fare una “siesta”. Sono stato fortunato ad avere una casa con spazio. Poi, giocando con lui, guardando un film… ho visto alcune serie televisive e partite.
E l’esperienza di vedere la città di Roma senza nessuno?
Difficile. È una città bellissima. Vivo vicino al centro e sono abituato a vedere le strade di Roma piene di gente. In questo senso, i romani sono stati esemplari, hanno rispettato le regole.
L’Italia è stato uno dei Paesi più colpiti dalla pandemia. Hai provato paura? Hai pensato di tornare in Portogallo?
No, mai. Non ho mai avuto alcun tipo di paura. La Roma ha una magnifica organizzazione e ho sempre sentito il sostengo del club. Non ho sentito il minimo desiderio ne necessità di tornare in Portogallo, anche se lì ho la mia famiglia: i miei genitori, i miei figli, mia sorella. Sono sempre stato in contatto con loro e sono sempre stato tranquillo qui a Roma.
Anche la Roma si è unita alle proteste contro il razzismo.
La Roma è stata pioniera e un esempio nella lotta contro il razzismo. Ha preso l’iniziativa di proporcelo ed è stata una decisione di tutto il gruppo. È un problema ancora molto sentito nel calcio italiano. Non posso dire di sentirlo molto durante le partite, ma lo sarà anche perché sono molto concentrato sul gioco. Quello che so è che le autorità italiane hanno preso ogni iniziativa per ripudiare ogni tipo di razzismo e discriminazione. Abbiamo una visibilità enorme e possiamo e dobbiamo partecipare a tutte le iniziative.
Manca molto poco al ritorno della Serie A. Sarà difficile tornare in modalità competizione?
Sarà più difficile del solito. Non ci sono giochi di preparazione, quello scenario dovrà essere creato da noi e tra di noi non è la stessa cosa. Si è visto che l’intensità non è la stessa, né può esserlo. Ci sono stati molti infortuni nel campionato tedesco e molti infortuni in questo tempo di preparazione. Giocheremo ogni tre giorni, sarà molto impegnativo e questo genera preoccupazione.
Per ciò che resta della stagione, l’obiettivo è quello di arrivare in Champions?
E’ possibile. Le altre quattro squadre sono molto forti. Atalanta, il nostro principale rivale, è molto forte, ma non arrendiamoci in questa lotta. E quest’anno il campionato italiano è imprevedibile, più che negli ultimi anni.
Un tuo parere sulla Serie A?
Nella mia prima esperienza nel campionato italiano, sono rimasto sorpreso in senso positivo. La qualità dei giocatori, degli allenatori, ma anche la qualità del calcio. L’idea che abbiamo che l’Italia abbia un campionato difensivo non corrisponde alla realtà. Hanno squadre molto buone e sono molto ben preparate nel momento di difendere, ma devo dire che sono andato a vedere durante la quarentena il numero di gol nei principali campionati europei e al momento siamo stati battuti solo dall’Inghilterra. Questo la dice lunga. La verità è che c’è molto lavoro da parte degli allenatori italiani dal punto di vista difensivo, più che in altri campionati, questo sì, sono molto forti, e le squadre non hanno problemi a scendere in campo per difendere. Lo fanno molto bene.
Quindi Paulo si inserisce bene nel campionato italiano.
Questo progetto è estremamente sfidante per questo. Mi ha costretto a vedere le cose in modo diverso e ad evolvere. In Italia, sento di essere cresciuto nel modo in cui vedo e preparo il gioco. Abbiamo uno scenario diverso in ogni partita. È una sfida.
Può dire che il Paços de Ferreira è la sua migliore creazione calcistica?
Non lo so. La verità è che abbiamo ottenuto qualcosa di unico nel calcio portoghese. E’ stato quasi come vincere lo scudetto. All’epoca Paços aveva un piccolo bugdet e poche risorse e arrivare con quei magnifici giocatori a quel terzo posto è stato epico, uno dei momenti più importanti della mia carriera. Ma per fortuna ho avuto più gioie che dolori. E vincere la Coppa dei Portogallo con lo Sp. Braga è stato un altro grande momento, tutti i titoli che ho vinto con lo Shakhtar, che non vinceva da due anni, vincendo il campionato e la Coppa per tre anni di seguito, sono stati momenti notevoli. Per fortuna ne ho avuto un po’.
Come sono stati quei primi giorni che ha lavorato la squadre giovanili del Estrela de Amadora (prima esperienza come allenatore)?
All’epoca, il Estrela viveva già con molte difficoltà. Ricordo che ero molto più di un allenatore. Eravamo costretti ad allenarci nel pomeriggio, i ragazzi non potevano andare ad ogni allenamento.
Siamo dovuti andare a Cacém per allenarci e molte volte io e il mio vice-allenatore abbiamo dovuto portare i furgoni con i giocatori e il materiale a Cacém, eravamo molto preoccupati di non perdere le palle perché non c’erano tante palle. Non c’erano portieri in formazione e siamo stati noi a dover andare in porta. Sono stati momenti molto difficili, ma mi hanno insegnato molto. Ho fatto un po’ di tutto.
Uno dei suoi vice all’epoca è ancora con lei.
Sì, Nuno Campos è con me da allora.
In un’intervista ad Expresso ha detto che all’epoca entrambi avevate una pasticceria.
Sì. Ho fatto tutto io. Ero dietro il bancone. All’epoca, io, mio padre e mia sorella lavoravamo lì. Non ero il semplice proprietario. Dovevo lavorare. Dovevo andare a comprare la roba, stare al bancone, fare il cameriere. Onestamente non so se esiste ancora. Non è più in famiglia.
Chi sono state le sue più grandi influenze come allenatore?
Ho imparato da tutti gli allenatori con cui ho lavorato. Alcuni aspetti con alcuni, alcune cose con altri. L’influenza maggiore che ho avuto è stata quella del professor Jean Paul, che è stato il
coordinatore tecnico della academia dello Sporting. Fu a suo tempo che i Cristiano Ronaldo, i Quaresma sono
venuti fuori… Mi ha insegnato molto, era stato il mio allenatore. È una persona che non avuto il riconoscimento che merita. Ho imparato molto da Jorge Jesus, di Quinito, João Alves, un allenatore esemplare nel motivare i gruppi.
Cosa farà sempre una squadra di Paulo Fonseca e cosa non farà mai?
Farà sempre a provare a giocare con la palla. Quello che non faremo mai è chiuderci in difesa e giocare senza palla. A meno che non sia necessario. A volte giochiamo con squadre più forti, ma non è mai mia intenzione. Chiunque tu abbia di fronte, dobbiamo puntare sempre lo sviluppo del gioco.
In un’altra intervista rilasciata, Paulo dice che gli piace copiare ciò che è ben fatto. Avete scoperto qualcosa in questi tempi di quarentena?
Impariamo sempre quando vediamo gli altri. Ci sono quegli allenatori che tendiamo a vedere di più. Ma in questo periodo sono stato più attento alla mia squadra e al campionato italiano che a guardare per imparare. Come dice il Guardiola, siamo tutti ladri delle idee altrui. Sono assolutamente d’accordo.
A chi altro rubi qualche idea di solito?
Non che sia rubare l’idea. Mi piacciono molto le squadre di Guardiola, le guardo con molta attenzione. E anche a Guardiola piacciono molto le mie squadre. Questo ha a che fare con il
coraggio che abbiamo avuto nei giochi contro di lui. Posso farvi un esempio. Nel mio caso, mi dà piacere quando gli altri allenatori hanno coraggio di dirlo e, anche se non vinciamo, dobbiamo
valorizzare e lodare coloro che hanno questo coraggio. In Italia, per esempio, ho perso contro Sassuolo, che è una squadra molto coraggiosa e che ha un allenatore molto forte. Contrariamente a
quanto si fa, bisogna dare credito agli altri. Va bene lodare o riconoscere quando gli altri sono stati migliori.
Ora da lontano, come allenatore, cosa pensa di Fonseca come giocatore?
Non credo che fosse un giocatore molto forte (ride). Ero un giocatore normale. Era un calcio molto diverso. Credo di essere stato molto normale. Ho fatto la carriera che meritavo. Non credo che Paulo Fonseca giocherebbe nella maggior parte delle mie squadre. Non ero un difensore molto veloce. Ero forte di testa e nel gioco aereo e nel posizionamento. Queste erano le mie
caratteristiche. Ricordo, ad esempio, a Belenenses, il mio primo gol in campionato, dove siamo andati a vincere 2-1 allo Estádio da Luz ed io ho segnato a Preud’Homme, ma vi confido che non mi ricordo dalla maggior parte delle partite come giocatore. Non ho ritenuto molto dalla mia carriera di giocatore. Dove sono stato davvero felice come giocatore è stato a Madeira, dove siamo andati in Europa, ho avuto una stagione molto buona.
La tua idea è quella di rimanere a Roma per un lungo periodo?
Sono estremamente felice a Roma. Amo il club, amo i tifosi, amo la città. Mi piacerebbe restare per molti anni, è un club enorme. Non è facile trovare una passione così grande come qui a Roma.
E Justin Kluivert, è bravo come suo padre Patrick?
Sono diversi. Papà era un grande giocatore, un grande attaccante. Justin ha le qualità per essere un giocatore dello stesso livello. È uno dei giovani su cui Roma conta per il futuro.
Avete alcun giocatore portoghese nella vostra lista?
Al momento non ho nessun portoghese e nessuno che gioca nel campionato portoghese.
C’è un invito che rimpiange di non aver accettato?
No, niente affatto. Sono una persona che guarda poco indietro. Prendo decisioni molto consapevolmente.
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