NOTIZIE AS ROMA DICHIARAZIONI FLORENZI – Il giocatore del Valencia, ma di proprietà della Roma, Alessandro Florenzi ha rilasciato un’intervista a Sky Sport. Tra i tanti temi affrontati il rapporto con l’attuale tecnico giallorosso Paulo Fonseca e non solo.
Sul momento attuale
“Personalmente sto molto bene, mi trovo molto bene qui (Valencia, ndr). Detto questo, sono in casa, come tutti voi. Ho la fortuna di godermi le mie due splendide creature come mai nella mia vita. Mi alleno quel che posso, con gli attrezzi che la società mi ha messo a disposizione. L’iter spagnolo è un po’ quello italiano, l’unica cosa è che siamo andati tutti in quarantena prima. Il contagio si è un po’ attenuato. Aspetteremo quello che dirà il governo su come ricominciare”.
Valencia-Atalanta: si è detto tanto intorno a quei 180 minuti e sui contagi che ci sono stati nella rosa del Valencia. Nello spogliatoio come avete vissuto questa doppia sfida?
“Intanto ringrazio la varicella. Non l’avevo mai avuta in vita mia, è arrivata al momento giusto. Il ritorno è stato surreale per me e per tanti giocatori, era la prima volta che giocavano a porte chiuse. Non so se avremmo dovuto giocare, il Getafe e la Roma hanno deciso di non andare in trasferta. Dentro di noi ci sono stati dei casi, adesso non so dire se quella partita abbia inciso, ma se fosse stata giocata a porte chiuse o non giocata proprio, poteva essere limitato il contagio. Solo Dio lo sa”.
Differenze tra Liga e Serie A?
“Da quello che sembra, il calcio qui è leggermente più aperto. Io ho constatato una cosa, c’è la stessa passione, ma non si vive come in Italia. Non si vive soprattutto come a Roma. Faccio un esempio che ho fatto ai miei amici: per andare a Getafe abbiamo preso il treno, come quando andavamo a Termini per andare a Reggio Emilia. Siamo andati alla Termini spagnola, parcheggiavamo molto distante dalla stazione. Chiesi cosa era successo, mi dissero che stavamo andando. Attraversammo a piedi una strada lunghissima, abbiamo fatto la fila senza guardie del corpo, come a Roma. Abbiamo pagato il biglietto e abbiamo preso il treno normalmente. Non c’è quella passione che si vive a Roma o in altre città. Siamo un po’ più liberi”.
Come mai hai deciso di andare all’estero piuttosto che scegliere una squadra italiana?
“Nella mia testa c’è sempre stata l’idea di fare l’esperienza all’estero. Non sapevo quando, dove e come. È venuta questa possibilità a gennaio, dopo aver parlato col mister Fonseca delle sue idee. Il mister mi ha espresso il suo pensiero, insieme abbiamo preso questa decisione che faceva del bene a tutti. Mi sono sentito di chiamare il mister della nazionale, spiegargli questa mia situazione e Mancini è stato molto aperto, gli interessava solo che giocassi, non dove”.
Nella tua testa questa è una parentesi o no?
“Non lo so. Questo virus mi ha insegnato una cosa: sono un ragazzo che nella vita si è sempre fatto i progetti, cosa farai a Natale, dove andrai per le vacanze. Il virus mi ha insegnato a vivere giorno per giorno, a godermi quello che ho, a capire cosa può darmi ogni giorno, vivere qui e ora. Sto giocando con le mie figlie? Non penso al dopo. Penso alle figlie, al caffè come fosse l’ultima cosa della giornata. Non penso a cosa farò l’anno prossimo. Penso a finire la stagione qui nel migliore dei modi, poi le vacanze, se ci saranno. Prima, se non sapevo dove andare in vacanza avevo l’ansia, ora la vedo come una cosa bella”.
Gli viene mostrato un videomessaggio di Rudi Garcia: “Hola Flore, come va? Ti faccio un grande saluto, anche qui in Francia restiamo a casa. Sai che sarai sempre il mio coltellino svizzero, che posso usare in situazioni differenti. Spero di abbracciarti presto, in bocca al lupo”.
“È sempre stata una delle mie qualità, il mister è uno sveglio, come si dice a Roma, e l’ha capito. Mi ha messo lui terzino destro quando gli servivo, mi ha fatto giocare alto a destra il primo anno. È un allenatore molto spagnolo, anche se è francese. Gioca un buon calcio, tiene bene il gruppo. Ho un grande rapporto con lui, ci sentiamo quando è servito a me o anche solo per un saluto. Lo ringrazio e gli mando un abbraccio grande”.
Ci sono tanti Florenzi, qual è il migliore?
“Il miglior Florenzi è quello che sta in campo quando sta bene, ha la testa libera e gioca felice. Poi se vogliamo parlare di terzini, mi trovo veramente molto bene lì. Se devo giocare in una squadra che propone calcio mi ci vedo molto bene, come gioco, come pensiero e per come si è evoluto il calcio. Se c’è un allenatore che in un determinato ruolo vuole 180 cm, che non si faccia gioco, alzo le mani e dico di non poter essere quella tipologia di giocatori. Non parlo di Fonseca, Roma, Lazio, Frosinone o altro, è un discorso generale. Detto questo, mi trovo molto bene in un calcio offensivo, è ovvio, le mie qualità di possono vedere dalla metà campo in su”.
Giocando dietro però perdi le capacità di conclusione…
“I miei amici me lo dicono questo. È la loro critica, mi dicono che avevo più opportunità 30 metri più avanti. Dentro di me scattano meccanismi interni, in cui ci sono mille pensieri. Vedo il calcio in un modo, e vedo il calcio dove da terzino posso fare molto di più rispetto all’ala. Mi piace giocare all’ala, la verità è che mi piace giocare a pallone. Se vogliamo riassumere tutto, Florenzi sta bene quando sta in campo”.
Quanto è stato importante indossare la fascia di capitano della Roma?
“Ogni bambino ha un cassetto con dentro dei sogni. Io fino adesso, devo dire la verità, li ho realizzati quasi tutti. Volevo giocare a pallone, nella città in cui tifavo, volevo diventare un calciatore importante e il capitano, volevo giocare in nazionale, segnare gol per queste squadre, giocare la Champions League. Mi mancano solo 2-3 sogni: vincere qualcosa di importante col club e con la nazionale e giocare il mondiale. Se riusciamo a fare queste tre cose non sarebbe male”.
Come hai vissuto questo primo momento di grande difficoltà? Passare dallo status di protagonista a quello di non protagonista. Quando hai capito che saresti stato meno protagonista rispetto al passato?
“Come è stato detto prima, cosa significa portare la fascia di capitano, cosa è stato. È stato un grande orgoglio, sono arrivato dopo due fasce che hanno fatto la storia della Roma, Francesco e Daniele. Nessuno, ve lo posso garantire, sarà mai come loro. Da qui forse fino alla fine della Roma. Detto questo, da loro ho imparato una grande cosa. Che la Roma viene prima di tutto. Ho cercato di fare semplicemente questo: ho messo la Roma davanti a me. Ho continuato ad allenarmi a duemila all’ora, senza dire una parola, cercando di rispettare i ruoli, che per me è fondamentale. Bisogna rispettare i ruoli e le persone, il loro lavoro. Il mister è stato molto chiaro. Devo dire una cosa, secondo me Fonseca è uno dei più grandi allenatori che ho avuto, calcisticamente parlando. Il problema è che non piaccio a lui in quel determinato ruolo. Lui si aspettava altro da me e da qualsiasi altro. Ho un grande rapporto con lui, mi ha detto che non sapeva quanto spazio avrei avuto”.
Prima della partenza per Valencia, c’erano dei fan a Trigoria: cosa hai pensato?
“Sono molto attaccato ai tifosi della Roma e so che anche loro si affezionano particolarmente ai giocatori di Roma. Non posso negare che per me sia stata una botta lasciare Trigoria. Non tanto lasciare Trigoria in sé, ma le persone che ci sono dentro, le anime che ci sono dentro. Potrei parlare di mille persone che sono cresciute insieme a me, dai magazzinieri, ai fisioterapisti, i ragazzi del bar. Quando mi hanno visto si chiedevano se veramente stessi andando via. Quella è una cosa che mi rimarrà e mi rimane sempre nel cuore. Sono le persone che hanno vissuto insieme a te, che hanno vissuto momenti brutti dopo una sconfitta e belli dopo una grande vittoria. Stavano sempre lì a lavorare, nonostante debbano essere professionali la battuta esce. Ho in mente Roberto e Valerio che non sono della Roma, di più. Quando ho sbagliato o ho fatto un gol venivano lì e me lo dicevano. Ho lasciato tanti amici, una famiglia, sono stati sempre la seconda famiglia”.
Videomessaggio di Zaniolo: “Mi manchi tantissimo, ti devo ringraziare per i momenti che ci sei stato. Ho incontrato una persona speciale dentro e fuori dal campo, sei sempre stato pronto a darmi una mano. Spero di rivederti presto, di abbracciarti, di giocare a due tocchi e mettere in mezzo Mirko Antonucci”.
“Lui è un ragazzo speciale. Appena è arrivato era tranquillissimo, e lo è tutt’ora. Piano piano ha tirato fuori le sue qualità umane, oltre che calcistiche. L’ho sempre preso sotto la mia ala protettiva, non gli ho mai parlato quando giocava bene. Gli ho sempre parlato e cercato di dire la mia quando le cose non giocavano bene, o quando non si allenava al massimo o aveva una partita storta. O quando si faceva girare le scatole perché una volta non giocava. Quello che ho passato io non è stato facile. Quando ho visto lui che è diventato un mio amico dentro e fuori dal campo, quando ho sentito quel movimento, la faccia, faccio fatica a parlarne. Ho sentito di fare quello che un amico farebbe per lui e che altri hanno fatto per me. Non mi sono mai sentito inappropriato o fuori luogo ad andare in ospedale o a casa sua. Mi scrive, mi chiama, ci sentiamo come abbiamo fatto fino ad ora. Gli voglio tanto bene, è stato lui a boicottare tutto quanto per l’europeo e a far venire il coronavirus (ride, ndr)”.
Il gol al Barcellona da metà campo è stato il momento più alto a livello personale con la maglia della Roma?
“Se dobbiamo parlare di momento strettamente personale, ovviamente è quello il momento più alto. Se devo parlare di un momento della squadra ovviamente parlo della partita contro il Barcellona e contro il Liverpool. Questi sono stati momenti più importanti nella mia carriera qui a Roma. Parlo delle partite in casa, sono momenti che difficilmente scorderò”.
Oggi si parla di Ter Stegen come portiere più forti del mondo, tu gli hai segnato da centrocampo…
“Non vorrei dire una cosa diversa dalla tua, ma per me non lo è. Metto le mani avanti. Per me è Alisson. L’ho vissuto anche in allenamento. A un certo punto facevamo le partite di allenamento e finivano tutte 0-0. Vedevamo i due portieri: uno era Szczesny e uno era Alisson. Devo dire che ho avuto a che fare con dei grandi portieri”.
Tornerai alla Roma?
“Sinceramente non lo so, dico la verità. Aspettiamo che finisca questo prestito”.
Una piccola parte delle persone ha cominciato a vederti in maniera diversa.
“L’ho sentito, ma non sono mai riuscito a darmi una spiegazione. Li avessi mandati a quel paese capirei di essermi messo contro qualcuno. Immagino e credo che nella mia carriera non troverò mai tifosi belli come quelli della Roma. Non so se continuerò nella Roma o le nostre strade si divideranno, ma posso dire che i tifosi della Roma sono stati sempre grandi, sono sempre nel mio cuore”.
È vero che hai rinunciato a una mega-offerta dell’Inter?
“È una storia che inizia molto tempo prima, nel senso che non ho rifutato solo l’Inter, anche altrre squadre italiane. L’ultima è stata l’Inter, nel momento in cui dovevo rinnovare con la Roma, era un’offerta molto importante. Mi sentivo di fare quello che ho fatto, sapevo che non avrei avuto la stessa opportunità economica, ma le emozioni provate a Roma non me le porterà via nessuno. Mi hanno detto di scegliere con la testa, ma ho scelto col cuore e lo rifarei”.
Che rapporto avevi con alcuni giocatori che sono andati via? Hai cercato di convincerli a rimanere?
“Penso che uno possa provare a fare mille cose per far rimanere o no a giocare con la tua squadra qualcuno. In primis lo fai perché quel giocatore è forte. Ognuno ha il suo percorso e ha deciso di fare quello che si sentiva fosse meglio per la propria carriera. Il rapporto è cambiato veramente di 0 e non cambierà. Quello che hai dentro e che hai vissuto insieme a quei giocatori lo porti dentro di te per tutta la carriera. Posso solo augurare loro del bene”.
Puoi raccontare la corsa per abbracciare tua nonna?
“È un momento che mi tocca particolarmente. Non voglio sminuire mia nonna, lei era la prima volta che veniva a vedermi. Mio nonno era molto appassionato di calcio, ho immaginato che vicino a lei ci fossero due persone: suo marito e l’altra nonna a cui ero molto legato. Se parlo adesso di loro non mi viene molto bene, perché sono emozionato come tutti possono immaginare. Detto questo, è venuto tutto molto spontaneo, le dissi che sarei andato ad abbracciarla e avrei fatto gol, ma in realtà non lo immaginavo neanche. Sono una persona istintiva, a volte si sbaglia e a volte si fa bene, fu un gesto istintivo fatto molto bene”.
Sul soprannome “Bello de Nonna”.
“Non voglio dire cattiverie. Una cosa è stata sbagliata, perché sono stati mesi infernali per lei. Chiamate a casa, al citofono, le andavano sotto casa i giornalisti. Le avete fatto passare l’inferno (ride, ndr). Lei aveva 85-86 anni, non era giovanissima, non è stato facile per lei”.
Sulla rovesciata al Genoa.
“Ho sempre questa reazione quando faccio grandi gol, come se non me l’aspettassi. C’è il povero Mattia in porta, gli ho fatto tanti gol e belli. Gli ho fatto un gol in rovesciata, uno al volo e uno partendo dalla mia metà campo. Un gol bellissimo, che rimarrà tra i miei preferiti, anche se non il mio preferito”.
Il tuo preferito? San Siro o Barcellona?
“Nessuno dei due. È uno strano, ma per me importante: il gol che ho fatto contro l’Udinese”.
Un bambino chiede: quando ritorni alla Roma?
“Addirittura quando! Allora, intanto quando ritorno a Roma ci vediamo e ti firmo la maglia, ci facciamo una foto insieme e una chiacchierata. Insieme decideremo il mio futuro, magari mi dai qualche consiglio”.
Sul rapporto con Mancini.
“Ci siamo sentiti quando dovevo venire qui. Mi sono sentito con un suo collaboratore, aspettavo di andare in nazionale a giugno”.
De Rossi diventerà un grande allenatore?
“Ho la mia idea. Secondo me diventerà fortissimo. Ha le qualità per farlo, non solo calcistiche ma anche umane. Ha personalità, dialettica, saprebbe parlare a un gruppo. Calcisticamente è un centrocampista, ma è un po’ tutto. La frase più bella che mi ha sempre detto era se mi piacesse giocare con uno in più, perché era sia in difesa che a centrocampo. Potrà fare un grande percorso anche da allenatore. Ha la vena per farlo. Se qualcuno non gli farà la fase preventiva immagino come gli uscirà…
Sul protocollo della Liga Spagnola per riprendere gli allenamenti: ritiro, allenamento in solitaria con ritorno a casa, allenamento a gruppi e allenamento collettivo con ritiro.
“Me gusta, perché si comincia a rivedere il campo. È la cosa che in questo momento manca, per chi è come me. Spero che sia fatto tutto nel migliore dei modi, cercando di non avere un contraccolpo, sarebbe una catastrofe. Immagino i problemi della Serie A o della Liga, ci sono tanti soldi in ballo che potrebbero far fallire tante società, alcune squadre in B e in C potrebbero rischiare. I dilettanti sono importanti come la Serie A per quanto la vedo io”.
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