Inchiesta “Repubblica”: De Rossi contro Totti

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Fa discutere l’inchiesta pubblicata stamattina da “Repubblica” secondo cui De Rossi avrebbe provato a fare fuori Totti dalla società.

Un’inchiesta che farà parlare e che renderà l’estate della Roma ancora più difficile. Ecco i passaggi salienti dell’articolo pubblicato oggi da “La Repubblica”.

“Vi faccio arrivare decimi”

“L’estate della Roma è gonfia di attese…Sono stati rispettati i paletti del fair play finanziario, la squadra è dodicesima nel ranking Uefa, è reduce da una semifinale di Champions…Sono state fatte cessioni dolorose, Alisson e Nainggolan, ma l’ultimo campione del mondo preso Nzonzi, è accolto come un gran colpo. Tiene mucho futbol, assicura il ds spagnolo Monchi. Non la pensa così DDR, Daniele De Rossi. Ritiene quell’acquisto un avviso di sfratto, considerando il francese un suo doppione. E – come raccontano tre diverse fonti – chiede, anche attraverso il suo agente, la rescissione del contratto. Affronta personalmente la dirigenza e in un momento di collera avvisa: «Se non risolviamo la cosa, vi faccio arrivare decimi». Non è un grande inizio.

Le idi di dicembre

La prima parte della stagione è ricca di altri pessimi presagi…qualcosa si è rotto. Tra l’allenatore e la squadra, tra la squadra e la società…lo spogliatoio è in realtà una polveriera. Di cui Monchi non sembra avere il sentore. La mattina del 16 dicembre Ed Lippie, preparatore atletico e uomo di massima fiducia di Jim Pallotta, che ha appena lasciato dopo tre anni la Roma per tornare a Boston, si sistema di fronte al suo pc. Ha delle cose importanti da scrivere, che il suo presidente deve sapere. Una fronda, e che fronda, chiede tre teste: l’allenatore, il direttore sportivo, e Francesco Totti…In una lunga mail spalanca l’abisso in cui stanno sprofondando squadra e allenatore.

I senatori

Con prosa anglosassone, asciutta, spiega a Pallotta di avere ancora occhi e orecchie dentro Trigoria. Le sue fonti — scrive — lo informano regolarmente con messaggi e telefonate. E quello che raccontano è sorprendente. Spiega che i quattro “senatori”, che cita — De Rossi, Kolarov, Dzeko e Manolas — ritengono il gioco di Di Francesco dissennato, dispendioso sul piano della corsa ma misero su quello della tattica. Lamentano l’indebolimento della squadra. Il tecnico – dicono da Roma – è in preda alla nevrosi dovuta al rammarico di aver accettato da Monchi un mercato inadatto al suo 4-3-3. Circondato da uno staff non all’altezza, vittima della sua stessa presunzione di riuscire ad “adattare” calciatori non compatibili col suo gioco. Già, Monchi. Lippie scrive che a Trigoria è visto come il fumo negli occhi…Gli rimproverano doppiezza nei rapporti, insofferenza nei confronti dei giocatori di seconda fascia. E tuttavia è l’ultima delle informazioni che Lippie scrive al presidente quella che prefigura la catastrofe. Se le fonti dell’ex preparatore dicono il vero la squadra soffre la presenza di Totti nel suo nuovo ruolo di dirigente. Le percezioni negative che trasmette allo spogliatoio. L’ottavo re di Roma, il suo figlio prediletto, è mal tollerato — così scrive Lippie — da coloro a cui ha consegnato il testimone e che pubblicamente non smettono di celebrarlo. Le fonti di Lippie chiedono che l’ex “Capitano” venga allontanato da Trigoria se necessario cacciando Di Francesco cui Totti è legatissimo. E sostituendolo con qualcuno che lo tenga lontano…Dopo il ko di Champions vengono accompagnati alla porta, insieme a Di Francesco e Monchi anche Del Vescovo e Stefanini. Nessuno fuori da Trigoria si chiede il perché, ci si accontenta della versione ufficiale, quella che li vuole responsabili dei troppi infortuni. Lo spogliatoio il perché lo conosce. E prende le difese di Stefanini, cui De Rossi è legatissimo (è una delle tre persone che il capitano citerà nella sua lettera di addio). I senatori si convincono che la pulizia abbia un mandante, Francesco Totti. E tra lui e De Rossi scende un gelo che durerà fino alla fine. Fino a quell’ultimo fotogramma di domenica 26, con Totti sotto l’ombrello, le mani in tasca e una faccia che è una maschera di amarezza per quella festa triste di cui conosce il non detto.

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