Walter Sabatini e la Roma, un amore che non finirà mai, nonostante tutto. Sull’edizione odierna del Corriere dello Sport c’è una lunga intervista a firma di Giancarlo Dotto all’ex direttore sportivo della Roma, attualmente alla Sampdoria dopo la breve parentesi all’Inter.
Ecco alcuni passaggi dell’intervista che riguardano direttamente la Roma.
«Sto cercando di guarire dalla malattia Roma. Non me la posso portare dietro tutta la vita…».
Non sei quello che s’innamora ogni volta delle squadre per cui lavora?
«Ma la Roma non è una squadra. È uno stato dell’anima. Amore e livore. È il polmone che ho perso. Per non dire il resto. Un caravanserraglio di emozioni».
Mi dicesti un giorno che fuori dalla Roma avresti smesso.
«Quando l’ho detto lo pensavo. La Roma produce questo effetto nefasto. Ti entra nelle ossa. A seguire, ho lavorato per Suning, non per l’Inter. Poi si torna alla realtà. Solo ora, dopo due anni, riesco a parlare della Roma con un po’ di distacco».
Fantastichi un clamoroso ritorno?
«Mai. Sarebbe irrealizzabile e anche sbagliato».
A Roma cambia tutto, dirigenti, allenatori, preparatori, calciatori. Solo Mauro Baldissoni non cambia.
«Uomo perbene, ma anaffettivo. Lui è intelligenza pura, più analitica che sensibile. Bravo a sistemare le cose, ma carente in quanto a disponibilità. Il suo guaio è che ha avuto una vita perfetta. Gli dico sempre: “Quanto soffri Mauro con questa capoccia che ti ritrovi?”».
In quanto a capocce complesse, anche Luciano Spalletti non scherza.
«Uomo generoso come pochi. Impossibile pagare un conto con lui, cosa rarissima in un allenatore. I suoi comportamenti sono spesso deviati da paure preventive e complessi che lo fanno vivere male. Ma è un ottimo allenatore e una bravissima persona».
Esce Sabatini, entra Monchi. Dal bucaniere al cerimoniere.
«Siamo molto diversi. Lui ha un metodo, io no».
Solo questo?
«Diciamo che lui è più sensibile di me alla benevolenza del mondo. Devo comunque dargli atto d’aver sempre pubblicamente riconosciuto il mio lavoro».
Vi piacciono gli stessi giocatori. Kolarov, Pastore.
«Mi ha sbalordito Kolarov. Non mi aspettavo trovasse ancora la voglia di correre sulle fasce. Ma lui è come Strootman, un guerriero invincibile».
Strootman. Tornerà mai quello di prima?
«Non toccatemi Kevin. È il mio eroe. E lo sarà per sempre. Perché si gioca calcio tutta la settimana, non solo la domenica».
Pastore si è offeso?
«Perché avrebbe dovuto?».
Hai detto che ha accettato di perdere i duelli con i campioni che arrivavano a Parigi. Non mi sembra un riconoscimento di personalità.
«Sono un provocatore. Pastore è un figlio mio, gli dico quello che voglio. Nel primo anno al Paris ha fatto cose inenarrabili, poi si è seduto. Lo sa anche lui e gliel’ho detto in privato. Ma è un genio del calcio e ha orgoglio argentino. A Roma vi farà divertire».
Monchi, come te, stravede per Ricky Massara.
«Certo che stravede per Ricky. È un dirigente che risolve i problemi. Come li risolveva a me. Uomo intelligente e leale come pochi».
Complicato separarti dal tuo pupillo?
«No. L’ho spinto io. Non volevo si caratterizzasse troppo addosso a me. E poi Ricky, come me, ha la Roma nella pelle».
La senti ancora come la tua Roma?
«Dalla cessione di Radja in poi non più. Era giusto cambiare tanto. I cicli finiscono e bisogna capirlo per tempo».
Ti è piaciuto sin qui il mercato della Roma?
«Stravedo per Kluivert. Una grande operazione. Forte anche il francesino dietro. Si stanno strutturando per essere forti a oltranza».
Alisson lo vendono?
«Secondo me sì, per 70 milioni al Chelsea. A quelle cifre un portiere si vende. Altrimenti devi essere in grado di sopportare un rinnovo del contratto a 5, 6 milioni netti. Non mi sembra il caso della Roma».
Da ex romanista, ti sei incazzato anche per Nainggolan all’Inter?
«Due motivi spiegano questa cessione. I 38 milioni in cassa prima del 30 giugno, di cui 14 restituiti per Santon e Zaniolo. E poi alla Roma erano spaventati. Non ce la facevano più a sopportare i suoi eccessi. Spalletti lo controlla abbastanza bene».
C’è un metodo Spalletti?
«Lo faceva dormire con sè a Trigoria. “Radja, stanotte ci fermiamo qua io e te”. Ognuno nella sua stanza con la porta aperta. Spalletti in queste cose è un genio. Un figo della Madonna. A uno come Radja poi gli vuoi bene, ti affascina come ragazzo».
All’Inter darà il meglio o il peggio di sé?
«Il meglio di sé come giocatore l’ha dato alla Roma. Ma all’Inter farà cose che neanche si aspettano. Perché lui attinge le sue energie dai nervi, non dai muscoli. Giocatore unico, irripetibile».
Grande invenzione portarlo alla Roma.
«Una trattativa estenuante fatta e conclusa alle 5 del mattino, l’ora di Cellino».
Il tuo De Rossi.
«Una grande anima. Uno che per la Roma si amputerebbe un braccio».
Il tuo Totti.
«Gli voglio bene. Un monolite intangibile. Se lo tocchi sei morto. Non è colpa sua. Già a vent’anni, tutti lo hanno indotto a pensare “La Roma sono io”. Uomo divertente, campione incommensurabile. Gli ho visto fare cose inaudite in campo».
Il tuo acquisto più eccitante?
«Il diciottenne Marquinhos. Prenderlo e vederlo affermarsi così rapidamente. Merito anche di Zeman che ha avuto il coraggio di farlo esordire titolare».
Sei più istinto che algoritmo. Non sempre, però, l’istinto ti guida bene. Due grandi toppate le hai prese.
«Anche più di due».
Due per tutte. Iturbe e Gerson.
«Gerson, qualche segnale l’ha dato. Giocatore indolente. Non ha capito che deve sfruttare le sue enormi qualità fisiche. Non sfida mai l’avversario. Si accontenta. Gli dicono di giocare semplice ma esagera. Una volta gli ho scritto: “Mi corri in verticale con la palla e mi dribbli un uomo una volta ogni tanto?”».
Te lo porti alla Sampdoria?
«No».
Iturbe? Mistero indecifrabile.
«Iturbe ha avuto un problema che abbiamo tenuto nascosto. Lui partì fortissimo con la Roma. Poi si è probabilmente rotto il crociato posteriore e noi non l’abbiamo operato. Abbiamo scelto la terapia conservativa. Da allora non è stato più lui».
Non andò troppo bene nemmeno con Stekelenburg.
«Lì siamo stati sfortunati. Un gran portiere, ma anche un gran presuntuoso, un olandese umanamente friabile. Una delusione enorme. Cosa che non è Alisson. Non dimentichiamo poi il calcione in testa che prese da Lucio a San Siro. Da quella sera perse sicurezza».
Decisamente meglio con Alisson.
«Me ne hai parlato tu la prima volta con grande enfasi. Mi sembrava complicato avvicinarlo. Poi mi arrivò uno spiffero che si poteva prendere con sette milioni e mezzo. Non ci pensai un attimo. Con il dubbio della bellezza. Troppo bello per fare il calciatore. Per fortuna è un ragazzo intangibile, un evangelico, con una famiglia esemplare alle spalle».
Sei anni a Roma e un addio insopportabile.
«Ho mal sopportato che non abbiano riconosciuto come siamo riusciti in quegli anni a combinare le plusvalenze con la ritrovata credibilità della squadra. Sono vittorie anche queste. Qualcuno, corroso da un odio funesto, è riuscito a dire che sono costretti a vendere Alisson per colpa mia».
Allegri lo volevi alla Roma.
«L’altro giorno l’ho minacciato: “…Siccome mi accusano di essere un direttore bravino ma che non ha vinto mai niente, adesso tiro fuori dal cassetto il contratto che hai firmato con la Roma”».
Quanto pesa nelle vittorie della Juve?
«Tanto. È un grande allenatore. Un fine stratega. Una volta mi ha detto: “Io sono scarso, però i giocatori li so riconoscere”. Vero. Guarda il Pjanic regista».
Il tuo Rudi Garcia.
«Gli voglio bene. Nel primo anno di Roma è stato un soffio benefico di leggerezza. Al terzo anno è andato un po’ sott’acqua. Io con lui. Con Rudi il presidente è stato maleducato. Non c’è bisogno di sputtanare un uomo che ti ha portato due volte di seguito in Champions».
Il tuo James Pallotta.
«Un uomo insicuro. Di lui si ricordano solo le smentite».
Il non tuo Eusebio Di Francesco?
«Mi è piaciuto per come ha gestito la rosa della Roma. Ha dato spazio e possibilità a tutti. Poi ha fatto una semifinale di Champions e quasi una finale. Ha inorgoglito i romanisti dopo tanto tempo».
Ti sei sorpreso a tifare Roma in Champions?
«Non mi sorprendo. Ho tifato Roma spudoratamente».
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