Ciao Capità,
mannaggia a te, che notte travagliata mi hai fatto passare. Ti voglio chiedere scusa, perché in questi 25 anni ti ho usato tanto. Da malato di calcio quale sono, un ritornello che troppo spesso ha scandito i miei weekend palllonari è stato: “E basta co ste partite su”. “Il calcio è una forma d’arte, è poesia in movimento”, la mia replica convinta accompagnata dalla visione di qualche tua giocata geniale.
Questa è stata sicuramente la settimana più lunga e travagliata per ogni tifoso della Roma. Un tumulto di emozioni e ricordi ha fatto irruzione nelle mie notti, senza bussare. Il primo ricordo nitido che ho di te parla di un ragazzo di 15 anni che preferì le onde radio alle onde cristalline del mare sardo. Il 4 settembre del 1994 ero in vacanza a Santa Teresa. L’inizio della nostra storia è stato scritto sulla bianca sabbia della Gallura. L’unico scemo fermo in spiaggia con la radiolina ero io, esultai come un matto al tuo gol contro il Foggia. “Che brutta insolazione”, avranno pensato gli altri bagnanti, poveri loro.
Da allora ne abbiamo fatta di strada. La tua grandezza non ci ha mai schiacciato (o attappato, come direbbe qualcuno), ma abbracciato e protetto. Quando mia figlia l’anno scorso (ora si è arresa) mi chiedeva: “Papà, ma quando entra Totti?”, la tristezza di una fine imminente lasciava spazio all’immensa gratitudine per aver vissuto ogni momento dei tuoi 25 anni di Roma. Spero che questo sentimento abbia la meglio anche questa sera allo stadio. Lo spero dal profondo del mio cuore, ma so già che sarà impossibile.
Grazie Francé!
Daniele Trecca