(G. Giubilo) Profondi sono stati i mutamenti dei costumi, di pari passo con le modifiche dettate dal tempo che scorre, qualcuno lo chiama progresso, ma i dubbi sulla definizione restano legittimi. Tutta una gamma di gradazioni ha accompagnato, dagli albori del tifo calcistico, le rivalità, anche se per una decisa opposizione tra le schiere di sostenitori è più giusto risalalire agli Anni Trenta. prima non c’erano spazi di accoglienza per un gran numero di spettatori, difficile che emergessero gli umori di massa, quelli che decennio dopo decennio hanno condotto al degrado dello spettacolo, almeno in relazione al contorno. Un preambolo indispensabile per spiegare le sfumature della rivalità tra la Roma, vessillifera della Capitale, e la Juventus immagine del Piemonte sabaudo, ma soprattutto della grande industria, con il matrimonio tra la squadra zebrata e la dinastia Agnelli.
Si è detto della degenerazione della rivalità, man mano dall’antipatia, all’astio, fino all’odio senza mezzi termini. Ma ottanta anni fa era ancora i’ironia, l’arma del tifo, entusiasmo e sfottò, nulla di sgradevole o pesante per celebrare il miracolo di Testaccio, cinque gol rifilati alla Signora del calcio nazionale, un’umiliazione che il grande attore siciliano Angelo Musco avrebbe fatto rivivere in un film di successo, appunto «Cinque a zero».
Quel clima svelenito non avrebbe resistito a lungo, forse anche perché non poteva esservi reale confronto tra la dominatrice in campo nazionale e una Roma che avrebbe prodotto qualche lampo, soprattutto quello scudetto degli anni di guerra, quando però i nemici dell’armata guidata dal fornaretto Amadei si chiamavano Torino e Venezia, pericolosi fino all’atto conclusivo.
Altre storie propone il dopoguerra, ma Juventus e Roma dovevano inseguire posizioni di comprimarie, perché la scena se l’era presa il Grande Torino, che soltanto la tragedia di Superga avrebbe fermato. Ma per apprezzare con più solidi riferimenti la contrapposizione di forze, in termini di tifo, è obbligato un balzo sensibile, agli Anni Ottanta, quando Dino Viola fu capace di restituire prestigio e dignità alla Roma, lanciando una sfida a viso aperto ai padroni del Palazzo, tra i quali naturalmente figurava in primo piano proprio la Juventus. I guai sarebbero cominciati presto, perché dopo un anno di assestamento i giallorossi erano già competitivi per il vertice. E sarebbero arrivati allo scudetto ’81 se a Torino l’arbitro Bergamo non avesse tolto a Turone la rete di una vittoria decisiva. La famosa storia dei centimetri che avrebbe fatto leggenda, senza mai cambiare orientamento, quando c’erano di mezzo decisioni al limite i verdetti erano puntualmente a senso unico, mai a favore dei rivali di turno dell’intoccabile Juve.
Inevitabile che il perpetuarsi di episodi dubbi, o almeno tali ritenuti dai tifosi della Roma, ma anche da quelli equidistanti, avrebbe inasprito i toni del reciproco accanimento, purtroppo sarebbe subentrato l’odio, sentimento deprecabile che però in pochi si adoperavano per attenuarne i toni e recuperare un rapporto almeno civile, se non affettuoso.
Ma gli episodi non incoraggiavano un ravvicnamento, specialmente negli anni della Triade, però almeno la Roma si era tolta lo sfizio di blindare il suo terzo scudetto col pareggio al Delle Alpi, l’ingresso di Nakata, due gol di svantaggio recuperati, Fabio Capello sarebbe poi passato slla sponda opposta, quando i problemi economici avevano già messo in crisi la gestione Sensi. Ma il tifo è più propenso a fornire istantanee a un odio reciproco divenuto feroce, ogni pretesto buono per fomentare l’eccesso di rivalità. Ancora oggi ci si chiede come fosse stato possibile ignorare lo sgambetto di Deschamps a Carmine Gautieri. Per carità, qui non si ha la pretesa di dare conto di tutti gli episodi in cui, tra Roma e Juventus, torti e ragioni non siano mai stati distribuiti in modo equanime, nella memoria dei tifosi giallorossi, quasi sempre incavolati neri, restano immagini che si vorrebbero cancellare. E non soltanto interpretazioni arbitrali censurabili, ma anche l’aggressione sofferta da Dino Viola, nella tribuna d’onore dello stadio juventino, che allora era il Comunale. Non si attenuano i toni della rivalità tra le due tifoserie, amicizia instaurata tra i vertici societari rispettivi, c’è da fare fronte comune contro l’assalto dei dilettanti.