(F. De Dominicis) – Forse non basta l’accordo tra il gruppo Pizzarotti di Parma e laParsitalia per mettere definitivamente in rampa di lancio lo stadio di calcio della Roma. Nonostante sia ormai vicina l’intesa tra i due costruttori, con gli emiliani pronti ad andare in soccorso dell’immobiliarista romano Luca Parnasi, il nuovo impianto della squadra di calcio della Capitale potrebbe restare – ancora a lungo – solo un desiderio del popolo giallorosso. La joint venture tra i due operatori del mattone – anticipata su Libero il 23 dicembre e confermata, tra giovedì e venerdì, da altri quotidiani –potrebbe infatti escludere proprio la «casa» della Roma.
Il progetto prevede la costruzione dell’impianto a Tor di Valle, la zona che ospitava l’ippodromo. Si tratta di un’operazione assai complessa e controversa dalla quale i vertici romani del Partito democratico stanno progressivamente prendendo le distanze. «Sono solo sensazioni, ma credo che la faccenda sia diventata non più fattibile» si limita a dire un esponente democrat molto vicino al dossier stadio. Fatto sta che la spinta iniziale e il sostegno assicurato con determinazione anche dall’ex sindaco, Ignazio Marino, ora mancano. Un vuoto. E il Pd, che si appresta a entrare in campagna elettorale per il Campidoglio, prima per le primarie e poi per il voto di maggio-giugno, pare intenzionato a tenere lontano dalla durissima battaglia elettorale un tema che può trasformarsi in un boomerang («si rischia comunque il massacro»).
Una prospettiva che lo stesso presidente della As Roma, l’americano James Pallotta, nonostante passi più tempo a Boston che a Trigoria, pare aver percepito. Pallota è stato informato del fatto che il candidato al momento più quotato del Pd, Roberto Giachetti, sarà pure «romanista» come ha detto il premier Matteo Renzi che lo sostiene, ma sul fascicolo non ha preso posizioni nette.
Nel quartier generale di Pizzarotti le bocche restano cucite. Le banche hanno dato l’ok alla creazione di una newco e alla ristrutturazione del debito di Parnasi che sfiora i 400 milioni di euro. Mancano ancora alcuni dettagli. Una delle ipotesi sul tavolo degli emiliano prevede, come accennato, di tenere fuori dall’affare con Parnasi la questione «Tor di Valle». Ipotesi emersa dopo un supplemento di verifiche fatto dai dirigenti Pizzarotti; tant’è che il termine finale per la firma dell’intesa, inizialmente fissato al 15 gennaio, è stato prorogato di alcune settimane. Gli emiliani, nel caso in cui abbandonassero il progetto dell’impianto sportivo, si concentrerebbero sugli immobili nella zona del centro commerciale Euroma2 e sull’altro gigante dei negozi sulla Laurentina.
Poi c’è il piano «B»: cioè sparigliare il tavolo e cambiare zona. Da Tor di Valle, dentro la città, si passerebbe a Tor Vergata, sempre nel quadrante Sud di Roma, ma fuori del Grande raccordo anulare: una posizione che renderebbe più semplice la realizzazione delle opere connesse, specie le strade, e quindi la successiva gestione della viabilità. Non solo: Pizzarotti conosce bene Tor Vergata, visto che ha costruito gli edifici che ospitano la seconda Università della Capitale. Altro fattore che potrebbe favorire il «trasloco» è che la zona di Tor Vergata rientra tra quelle individuate, in via preliminare, per ospitare alcune infrastrutture in vista delle (eventuali) Olimpiadi 2024. Ma i tempi, in questo caso, si allungherebbero di tanto e potrebbero fiaccare ulteriormente l’entusiasmo di Pallotta, che peraltro ha deciso di dividersi dal socio Mark Pannes, considerato in qualche modo «mister Stadio». Una scelta improvvisa che taluni hanno collegato alle indiscrezioni, smentite, di vendita del pacchetto di maggioranza della Roma da parte dello stesso finanziere di Boston. Certo è che la documentazione finale per Tor di Valle non è ancora stata consegnata alla Regione Lazio: qualcuno la attende per fine mese, ma non sono esclusi colpi di scena. Niente stadio? La voce è arrivata attraverso gli sherpa del Pd anche a Pizzarotti. E nessuno si è stracciato le vesti.
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