(R. Buffoni) C’è stata una Roma prima di Dino Viola e ce n’è una dopo.
Nato ad Aulla (Massa Carrara) il 22 aprile del 1915, è il presidente che rappresenta lo spartiacque della storia romanista. Grazie a lui i tifosi giallorossi hanno imparato a sognare ad occhi aperti, perché fino al 16 maggio del 1979 chi osava immaginare lo scudetto rischiava di finire dallo psichiatra. In 52 anni di storia la Roma aveva vinto il titolo nel 1942, la Coppa delle Fiere del ’61 e 2 coppe Italia (’64 e ’69). In mezzo, l’unica retrocessione in serie B (1951) e anni grami riassunti dalla famigerata colletta del Sistina del dicembre 1964 quando, con un bilancio in rosso per 2 miliardi di lire, il club riuscì a sostenere la trasferta di Vicenza grazie alle 700 mila lire offerte dai tifosi.
La svolta quando l’ingegner Viola rileva da Gaetano Anzalone il club. In 11 anni e 8 mesi la Rometta diventa Magica Roma: ci sono Di Bartolomei, Conti, Pruzzo; arrivano Falcao, Ancelotti, Cerezo e in panchina Liedholm propone difesa a zona, tattica del fuorigioco e “ragnatela” (il moderno tiqui-taca). Arrivano lo scudetto dell’83, 5 coppe Italia e la finale di Coppa dei Campioni ’84 (persa ai rigori all’Olimpico contro il Liverpool). Una storia interrotta dal destino il 19 gennaio 1991, quando Viola deve arrendersi al cancro. È un sabato, il giorno dopo la Roma gioca e perde col Pisa 0-2 in un Olimpico tetro. In curva, uno striscione: “In 12 anni hai dato molto. Ieri tutto”. Oggi, a 25 anni dalla morte, l’ingegnere verrà commemorato alle 19 con una messa a San Roberto Bellarmino (piazza Ungheria).