(E.Sisti) – Ora Spalletti sa. Ha raccolto un gruppo come si può raccogliere un foglietto di carta che il rivolo d’acqua sta trascinando verso il tombino. O lo prendi bagnato o non lo prendi più. Intorno gli avevano costruito un mondo fiabesco, un luogo in cui persino Mary Poppins può vincere lo scudetto. Ma lui ovviamente non ci ha mai creduto, troppo esperto, troppo furbo, lucido, navigato, troppo poco Mary Poppins per star dietro alle fantasie che accompagnano i cambi in panchina. A Spalletti basta un minuto per capire che certi giocatori sono in frantumi, che quello lì non gli serve, quell’altro gli farà la fronda e a quell’altro ancora forse è giusto dare un’ultima chance (Castan) anche se quasi certamente finirà male (e così è stato). Ma come fa a dirlo? Sa anche che Totti non può più essere la luce. Un dispiacere, non un alibi. Il tempo passa.
Sabato gli domandavano se per caso dopo tre allenamenti non se la sentisse di confermare la prima sensazione, ossia quella di aver rilevato una squadra senza problemi fisici. Ha risposto dopo quindici secondi, non poteva dire sì, non poteva dire no, poteva soltanto aggirare civilmente il quesito. Quando gli hanno chiesto del centrocampo ha detto: «È il luogo da cui nasce tutto». E il primo nome che ha fatto è stato quello di Strootman, non quello di De Rossi, né di Nainggolan, né di Pjanic, né di Vainqueur, di cui pure ha lodato le qualità («tutti possono fare il playmaker basso»). No, ha citato Strootman, quello che adesso non c’è, quello che aveva fatto la differenza nella Roma di Garcia. Non era un caso. Ieri Spalletti ha provato a riavvolgere la bobina. Vediamo se facendo schioccare le dita l’Olimpico si riempie e la Roma gioca come giocò contro la Dinamo Kiev.
Aveva chiesto una reazione immediata, più di cuore che di lavagna. Non c’è stata nemmeno quella. La provocazione del torniamo grandi subito non ha funzionato. Ha provato il suo amato 4-2-3-1 ma Pjanic basso s’è perso, incarnando da solo il modo raffazzonato di vivere il calcio dell’attuale anima giallorossa. Ha messo Florenzi a sinistra ma dopo pochi minuti è stato costretto a impostare un 4-4-2 con Florenzi a destra perché a sinistra il ragazzo perdeva i riferimenti (e da quella parte lui e Digne, sempre più giù, non sostenevano Wszolek e Sala). Ha immaginato che Nainggolan potesse fare il Perrotta, ma anche il belga ha vissuto mezzora in un pagliaio, da ago però, ed è riuscito a segnare soltanto quando il tecnico aveva già risistemato tatticamente il gruppo.
E’ comparsa pure la difesa a tre perché da terzino Torosidis non garantiva alcuna spinta e la squadra subiva ripartenze. Niente, non c’era verso di assicurarsi un po’ di equilibrio, uno straccio di sicurezza. «Non abbiamo fatto una buona prestazione, pari difficile da accettare ma qualcosa da salvare c’è». Che fare adesso? Mercato? Ma quanti servirebbero? Allenarsi di più potrebbe avere un effetto paradosso e peggiorare le cose: «Se facciamo valere la tecnica le difficoltà fisiche si notano meno». Ma ci sono e sono troppe per guarire di corsa. E c’è ancora mezza stagione da vivere. E domenica sera c’è la Juventus che vince e basta. E’ poi ci sarà il Real Madrid che da quando è arrivato Zidane ha segnato 10 gol in 2 partite. Spalletti è felice di essere tornato. Ma questa felicità ha un prezzo. E forse anche una durata limitata.
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