(T. Carmellini) – Spalletti ha imparato la lezione. Torna a Roma oltre sei anni dopo e mostra nel primo contatto con il mondo reale tutta l’esperienza accumulata nel frattempo, ma anche quella che gli era rimasta in tasca dal primo passaggio nella Capitale.
Così, nella conferenza stampa di presentazione (quella dei grandi numeri dove la gente sbuca da sotto i tombini), si muove con la disinvoltura del consumato leader politico, conscio del terreno sul quale si appresta a camminare. Fa battute, gigioneggia, dispensa soprannomi, tocca tutti tasti fondamentali nel microcosmo capitolino, ringrazia la società, dà un educato ben servito al suo predecessore ecita la famiglia come farebbe un «vecchio» conservatore americano: con tanto di abbraccio finale al figlio lì in sala.
Ma nel mezzo dello Spalletti-pensiero c’è anche tanta roba: il toscano non dimentica nulla. Parte dal passato salutando «affettuosamente» Garcia ma sottolineando però come nello spogliatoio non ci sia nessuno che si stia strappando i capelli per la sua partenza. Difende la qualità dei giocatori, ma li avverte anche che gli alibi sono finiti, che da adesso si inizia a fare sul serio e le vecchie gerarchie sono da considerarsi tali. Ringrazia il presidente Pallotta con tanto di gaffe «studiata» a tavolino (o forse no…!?), ne sottolinea la passione, ma ammette anche che la Roma sta un po’ sulle gambe (hai visto mai sia colpa dei preparatori voluti da James?) e non dimentica una botta anche alla vecchia gestione. Quando spiega che «in passato avere la società vicino non ha fatto la differenza» prende due piccioni con una fava: elogio agli americani e rimbrotto ai vecchi proprietari forse rei di non averlo sostenuto allora. «Ho trovato tanta gente in più che lavora dietro le quinte», e sottolinea la differenza tra un club strutturato e una gestione familiare.
Potevano poi mancare i tifosi? Chiaramente no, ma Spalletti sa bene (per esserci già passato) che gli abbracci di Fiumicino possono trasformarsi rapidamente in «stretta mortale» e mette le mani avanti col richiamo della Sud all’Olimpico rispolverando quel «popo po po po po pooo» che fece sognare il popolo giallorosso: e non solo. Un popolo che nell’ultimo periodo è rimasto orfano o quasi dei suoi due leader: Totti e De Rossi. Due temi che Spalletti affronta come Tomba dei tempi migliori: se la cava alla grande tra i paletti stretti dello strappo che fu con De Rossi, ricucito da par suo in un nanosecondo con un «Daniele è un grande e mi ha già dato la sua completa disponibilità», promettendo sorprese (un riutilizzo in difesa?). Poi lascia andare gli sci come nella libera di Kitzbuhel su Totti e un rinnovo che tarda ad arrivare: «Lui ha un rapporto personale con il presidente», spedisce la palla in tribuna e incarica Pallotta di ritrovarla. Non dimentica un passaggio su Dzeko eCastan, due che vanno letteralmente «rianimati» e ricorda a chi lo avesse dimenticato i suoi rapporti con la stampa: «Ho letto… Anzi no mi hanno detto, non ho ancora letto… »: è un passaggio da addetti ai lavori che, insieme a un altro paio, non sono sfuggiti a chi di dovere. È Spalletti, sempre lui… Bentornato.
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