(A. Angeloni) – «Più equilibrio con Luciano, lo scudetto è nella tua mano». Lo striscione fuori i cancelli del Bernardini fa capire come e quanto la gente sia tornata a fomentarsi. È bastato un cambio di panchina, che in genere significa salviamo il salvabile. L’ambizione è la stessa. Spalletti, prima ancora di giocare la sua prima partita, ha già cambiato l’umore di tanti. Sono passati poco più di sei anni dalle sue dimissioni, una decina dal suo primo allenamento con la casacca della Roma e Trigoria – alla prima conferenza – era strapiena di gente, vecchie e nuove facce. Lui li ha benedetti un po’ tutti.
SOLO POSTO IN PIEDI Posti in piedi, grazie. Lucio perfettamente a suo agio. Ha trovato una Trigoria diversa, e anche lui in fondo lo è. Più completo, più maturo, più vissuto. Il modo di parlare è sempre lo stesso: un andamento lento che ti magnetizza. E lo ascolti anche quando non dice niente, quando le sue frasi si riempiono di «poi», «sviluppo», «quello che…» etc etc. Lo stai a sentire perché è comunicativo anche negli sguardi che fanno da tappeto ai suoi silenzi. Uno Spalletti in grado di scherzare, di cercare la battuta, quindi il consenso, più di quanto già non ne abbia. Ci racconta un Pallotta che lo accoglie a Miami «con una maglia della Roma troppo stretta, gliene dovrò regalare una più larga»; racconta di un «grandissimo dirigente, Sabatini, ma il regalo che gli ho fatto me lo tengo stretto, visto che dicono che con lui non vado d’accordo»; racconta di essersi «addirittura eccitato nel guardar giocare la sua Roma con il vecchio 4-2-3-1». Parla di Willi come se parlasse di Daniele. Ma mentre Daniele è De Rossiin automatico, Willi chi è? Vainqueur, che ha bazzicato il campionato russo e Lucio lo conosce bene. E’ il sistema per far sentire importante un calciatore spesso accantonato. Parla della Sud e, categorico, dice: «Con il Verona rivedremo il settore pieno». Non risulta ma ci crediamo.
(QUASI) TUTTI NOMINATI Parla dei giocatori, li rende subito suoi, anche se tanti non li conosceva. Una parola buona per ognuno, ci sta. Apprezza il centrocampo a disposizione, ad esempio. «Due miei amici allenatori, uno di questi è Ancelotti, mi chiedono questi giocatori, vuol dire che sono forti e io sono tranquillo. Florenzi? È un 2 o un 7? Un tre e mezzo, un quattro e due quarti». Chiaro, no? Evita la risposta su Gervinho, ma manda un bacio grande a Dzeko. «Ho giocato sempre con una punta che doveva tagliare sul primo palo, ora ne ho uno che può giocare anche sul secondo, che può sfruttare la “palla passante” (diventa passante pure la sua mano, che spiega con facilità quella palla passante, ndr). Se mi avessero chiesto: che attaccante avresti voluto? Avrei risposto:Dzeko». Via alle grandi domande, poi. Il ruolo di Totti? «All’epoca cercai di non disturbare mai il suo talento. Seguirò questa strada». De Rossi? «È il giocatore con più esperienza e qualità, e può giocare in più posizioni. E’ disposto a fare anche qualcosa di più particolare». Pensierino finale: «Non abbiamo alibi: abbiamo solo una strada: vincere subito. Al contrario, i tifosi mi prenderebbero per le orecchie e mi farebbero fare il giro della città». Dall’amore all’odio. Vale per tutti. Il saggio Spalletti lo sa.
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