(A. Angeloni) «Ah se avessi una punta…». Lo diceva Luciano Spalletti dopo aver pareggiato al Franchi con la Fiorentina di Toni e Prandelli. Partita meravigliosa della Roma, mille occasioni create, un solo gol, con Cufrè, un terzino. Era aprile del 2006, era la Roma delle undici vittorie e la rimonta la stava per portare diretta in Champions League ma l’obiettivo fallì (poi ci andò comunque per le sentenze di Calciopoli). Spalletti aveva Totti infortunato, Nonda sparito, Okaka ragazzino. Davanti, contro i viola, aveva Rosi, Perrotta e Taddei, il centravanti era Mancini. Per la Fiorentina, tanto per cambiare, segnava Toni, la punta dei suoi sogni. Da quel 2006 al 2009 non cambiò molto: a Trigoria c’era Montella (con molti problemi fisici e ormai a fine carriera), arrivarono, per fare qualche esempio, Vucinic (che poi giocò sempre esterno), Baptista (per Spalletti non era un attaccante) e addirittura Zamblera, sparito molto presto (anzi, quasi subito) dai radar. In quegli anni lo ha salvati Totti, che di gol ne ha fatti, ma era un 9 finto, non il centravanti che avrebbe voluto lui.
IL FUTURO MIGLIORE La Roma riparte dal Verona, Spalletti anche riparte alla guida della sua vecchia squadra, ma stavolta quel centravanti ce l’ha. Tecnicamente anche più raffinato di Toni. Dzeko è uno che sa dare del tu al pallone, sa attaccare la profondità e concludere. Tutto questo si è visto poco fin ora. Il 2016 non è ancora cominciato per il bosniaco, perché reduce da una squalifica che gli ha fatto saltare le prime dell’anno con Chievo e Milan. Domani torna al suo posto, sperando che la situazione, anche grazie a Spalletti, possa migliorare immediatamente. Del resto, Edin ha un 2015 da cancellare, le motivazioni non gli mancheranno. Perché il piatto piange. Un anno chiuso con la prima espulsione in carriera e la miseria di sette reti all’attivo in 34 gare disputate nelle squadre di club (Manchester City e Roma da agosto a oggi) tra campionato, Champions e coppe nazionali. Una media di 0,20 gol a partita, uno ogni cinque match, ben lontana da chi si attendeva che il bosniaco potesse fare subito la differenza. La tifoseria non lo ha mai abbandonato. Edin non si è mai nascosto, ha mostrato senso di responsabilità e consapevolezza. Non ha cercato scuse, non ha chiesto tempo per ambientarsi, è andato oltre a chi, con troppo buonismo, ha provato a difenderlo, passando sopra prestazioni non all’altezza della sua fama: su azione ha segnato solo due reti, uno con la Juve in campionato e uno con il Leverkusen in Champions. «Se non segno è solo colpa mia – ha dichiarato l’8 dicembre – non c’entra nulla la squadra. Dovevo fare meglio. Ho giocato in tanti modi e in tante squadre, se uno è forte lo è sempre e in qualunque situazione. Sono consapevole di aver fatto poco fino ad ora e accetto le critiche». Avrà apprezzato pure Spalletti, che ora su di lui punta molto per il rilancio della Roma. Che fin ora, anche senza i suoi gol, si è pure difesa bene mantenendo a lungo il miglior attacco del campionato. Ed è per questo che le sue reti (che non ha fatto) avrebbero fatto ancor di più la differenza e oggi ci sarebbe un’altra classifica.
IL MODULO Domani Dzeko sarà supportato da Salah (che non è al meglio da un po’), da Florenzi (proprio come ai tempi del primo Garcia) e da Pjanic, che sarà portato ad avanzare il suo raggio di azione per dare il là agli inserimenti delle ali e dei centrocampisti (i terzini saranno Torosidis e Digne, i centrali Manolas e Ruediger). Spalletti ha in testa il 4-2-3-1, ma non vuole stravolgere la squadra. Probabilmente vedremo un ibrido, dal 4-1-4-1 al vecchio 4-3-3, tutti sistemi che pian piano porteranno alla scelta definitiva. Ma ora è troppo presto. L’importante, al di là dei moduli, è che cambi la sostanza. Che si ricominci a correre. Il bel calcio arriverà.
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