(A. Angeloni) – È entrato a Trigoria con lo stesso sguardo che aveva terrorizzato Olivier Dacourt una sera di tanto tempo fa a San Siro, quando per poco non gli faceva pareggiare una partita che la Roma stava vincendo 3-0 contro l’Inter. Roba che non succedeva da anni e anni. Ed era successo proprio mentre sembrava già finito – in caso di non vittoria – il suo percorso nella Roma. Luciano Spalletti quella sera si era giocato l’anima, e quella sera aveva posto le basi per qualcosa che ancora oggi la gente ricorda e apprezza. Ecco perché quella rabbia nei confronti di Dacourt (e Nonda, per essere precisi). Gli occhi di Lucio appoggiati sullo sguardo di Maicon, forse, lasciano qualche speranza al mondo giallorosso e ricordano quella ricca serata. Spalletti ha preso possesso di Trigoria, la sua vecchia cara Trigoria, ha fatto il giro degli uffici, è entrato in palestra, nello spogliatoio, ha firmato il nuovo contratto, diretto l’allenamento, il primo dello Spalletti 2.0. Strette di mano, sorrisi, appunto qualche sguardo più intenso, ma ci sta. C’è tutto Luciano. Perché in questo momento conta più una sensazione che una parola tanto per dirla. Chiaro, il neo tecnico della Roma, ha fatto anche un bel discorsetto alla squadra, riunita tra le mura della palestra, lontano da riportini e riportoni.
I COMPITI DI GIOCO Spalletti è stato accolto a Fiumicino da una cinquantina di tifosi, un cartello con scritto «ben tornato mister» lo ha atteso a Trigoria. Lui, barba lunghetta e un po’ grigia, zuccotto nero in testa e sciarpa della Roma addosso, è entrato come ospite ma in realtà già è il padrone di casa. La nuova gestione porterà, inevitabilmente, dei cambi. Nel lavoro in campo, soprattutto. Lo scopo, avendo richiamato Lucio all’ovile, è recuperare punti e credibilità. E prima ancora certi giocatori: Maicon è uno di questi, Dzeko un altro, De Rossi un altro ancora. Qui non ci sono calciatori «sotto a un treno» (così definì Mexes e Perrotta nei primi tempi del suo arrivo nel 2005), ma solo gente da rigenerare, da rendere consapevole. «Non abbiamo altra scelta, il campionato ha evidenziato che ci sono squadre che giocano bene: la nostra è buona e bisogna giocare un buon calcio per essere al livello degli altri. Abbiamo fatto dei passi avanti nel confronto con l’Europa: questo gruppo ha le caratteristiche per essere all’altezza. Voglio che la squadra che sappia giocare un buon calcio», le sue parole in un’intervista rilasciata a Miami prima di ritornare nella Capitale e trasmessa a Roma Tv. Il progetto è chiaro: il bel calcio. La squadra di Garcia lo ha fatto vedere per troppo poco tempo, ha smesso presto di sentirsi forte. Ha perso fiducia.
ENTUSIASMO E RICORDI Al di là dell’aspetto fisico e tecnico (ieri subito allenamento intenso sotto la pioggia, ma sulla tenuta atletica ci vorrebbe la bacchetta magica), alla squadra serve entusiasmo. Motivazioni. E un allenatore «emozionato», così si è definito Lucio nella medesima intervista, ha il compito facilitato. «Sono emozionato perché so quello che è il valore di questa città, di questa società e di questa squadra: lavorare con gente di valore mi emoziona. Roma è un posto stupendo, qui c’è un club serio con cui si può lavorare bene. A Roma non si possono fare cose banali. Non serve buttare energie per quello che è stato, ma portarsi dietro la storia è importante per il futuro. Voglio lavorare in maniera seria da subito, attingere alle esperienze passate». Non è il momento di parlare di numeri e di moduli tattici, appunto; contano le motivazioni, ribadisce il neo tecnico della Roma, che ieri si è fermato a dormire a Trigoria. «Penso che questo momento della Roma dipenda soprattutto dalla testa. Spero che ritoccando i tasti giusti e parlando in maniera pulita e chiara alla squadra si possa ritrovare spirito e carattere, aspetti che vanno in evidenza prima dei numeri e dei moduli. Gli obiettivi? Dobbiamo lavorare in maniera seria e far sì che poi il nostro lavoro determini una serie di possibilità future. Non dipenderà solo da noi. Quando si è dietro di qualche punto come in questo momento dipenderà anche dall’andamento avversarie, ma noi abbiamo l’obbligo di provare a dare il massimo sempre». Pallotta lo ha voluto e scelto («è un vincente»), Spalletti ha apprezzato e ora vuole accontentare i suoi desideri, guadagnare e vincere (o viceversa). I tifosi non vogliono guadagnare, ma vincere sì. Lucio e la gente è un vecchio amore che torna. Ma per ora la gente va riconquistata.
STANCHI A CHI? – Spalletti sa che non c’è da perdere tempo. «Dobbiamo fare subito risultati. Ho visto i ragazzi allenarsi. Ecco, non voglio più sentir parlare di scarsa condizione atletica. E’ solo un problema di testa». Duro, chiaro. Come lo è con i tifosi, latitanti (per scelta politica e per insofferenza). «Abbiamo un numero eccezionale di sostenitori e averli al nostro fianco ci darà una spinta superiore. Ma loro apprezzano l’impegno, la disponibilità, il sudore e la lotta: solo se metteremo in campo tutti questi ingredienti avremo il loro assenso. Senza di loro viene a mancare qualcosa, fanno parte della nostra storia, del nostro vivere quotidiano. Sappiano, i tifosi, che io arriverò presto a Trigoria, andrò via tardi e tutto il tempo passato qui sarà per di dare un contributo».
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