(F. Bocca) – Silvio Berlusconi e James Pallotta stanno alacremente lavorando alla crisi di Milan e Roma, scavando frettolosamente la fossa agli allenatori che loro stessi hanno scelto e cercandone di nuovi. Nel caso della Roma manca solo l’ufficialità. In una situazione quantomeno kafkiana, mentre Garcia sta allenando una squadra a pezzi e spaesata, Luciano Spalletti addirittura vola a Miami per incontrare e accordarsi col presidente americano. Che ha sostanzialmente spostato il cuore della società negli Usa e a Roma mantiene degli emissari che lavorano – fino ad ora con scarsi risultati – per suo conto. Più confusione di così…
Al di là delle scelte contingenti sui nomi dei nuovi allenatori – Luciano Spalletti praticamente sicuro e Marcello Lippi forse – è il tourbillon di tecnici che lascia assai interdetti. Se li cambi continuamente, se ogni volta smentisci te stesso, se torni costantemente sulle tue stesse decisioni vuol dire che il problema principale non è l’allenatore, sei tu. Anche se poi l’allenatore deve pagare per le sue responsabilità e tu no per il semplice fatto che sei il padrone.
Il Milan licenziò Allegri esattamente due anni fa, da allora Berlusconi e Galliani, sia pure con una certa divergenza di vedute, hanno chiamato Seedorf, Inzaghi, Mihajlovic. E se Mihajlovic non si salverà addirittura Marcello Lippi. Cinque allenatori in due anni e un Milan in caduta libera. Nemmeno le visite pranoterapeutiche e i consigli di Berlusconi hanno salvato il Milan, gli allenatori sono andati tutti regolarmente a sbattere.
Lo stesso per James Pallotta che queste scelte non ha fatto direttamente ma su suggerimento degli uomini da lui scelti (Baldini prima, poi Sabatini, Baldissoni etc). Quando si insediò la società americana decise un taglio netto col passato e per prima cosa mandò a spasso Montella, poi rivelatosi uno dei migliori giovani allenatori in circolazione. Scelse Luis Enrique che una volta fuggito dalla Roma per incompatibilità ambientale ha addirittura vinto la Champions League col Barcellona e non più tardi di ieri ha vinto il Pallone d’Oro 2015. Passò a Zeman per poi capire che il maestro è uno straordinario personaggio ma ormai da qualche anno l’icona di se stesso, usato il trucco del traghettatore Andreazzoli. Per poi approdare a Rudi Garcia, grande ammaliatore, ma nella sostanza incapace di costruire qualcosa di serio, se non un bel catenaccio all’italiana che in un anno e mezzo lo ha portato a stringere bei risultati (due secondi posti) per poi declinare però miseramente. E adesso il ritorno a Luciano Spalletti. Una società ben decisa a tagliare i ponti con le radici romane e romanesche, che poi scopiazza quello che i precedenti romanismi presidenti avevano fatto.
Costruire una grande squadra non è facile, intendiamoci. Pensiamo anche all’enorme travaglio della nuova Juventus prima di arrivare alle gestioni di Conte e Allegri. Ma è evidente che Berlusconi ePallotta – il vecchio e il nuovo – non hanno in mano la situazione e vanno avanti a tentoni. Come capita. Insomma forse Berlusconi ha fatto il suo tempo in politica come nel calcio, Pallotta per adesso ha fatto un sacco di chiacchiere in inglese e concluso assai meno di chi parlava romano. Gli allenatori che pagano il conto virtuale (lo stipendio per fortuna loro rimane integro) tutto sommato ringraziano. Clarence Seedorf non più tardi di ieri ha dichiarato: “Fino a giugno sono ancora sotto contratto col Milan”. Evviva.
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