(M. Ferretti) – La solitudine di Dzeko, per nulla paragonabile a quella dei numeri primi, è qualcosa che turba l’anima, arrivando a corrodere il sistema nervoso. Non sta scritto da nessuna parte, del resto, che un centravanti debba vivere (giocare no, per carità…) una mini partita tutta sua all’interno della grande partita, eppure il bosniaco dal sorriso ormai tramontato è costretto sistematicamente a farlo. Dato che il calcio è un gioco collettivo, anche la punta più avanzata dovrebbe partecipare all’evento, dando il suo contributo in funzione e in virtù delle sue qualità. Nella Roma, invece, Dzekonon fa parte del gioco. Abbandonato a se stesso per via di un piano tattico che non prevede una manovra finalizzata ad innestare la punta centrale. Si dice: Dzeko non segna. Non esiste al mondo, però, un attaccante che faccia gol senza ricevere il pallone. Per bucare il portiere avversario occorrono due cose fondamentali: avere la possibilità di calciare il pallone e spedirlo nello specchio della porta. Due cose che Dzeko non sa neppure che cosa siano. Se un centravanti trascorre più di un’ora e mezza a rincorrere il centravanti nemico (è accaduto anche questo, al San Paolo) o a fare a botte col centrale avversario, il gol o anche solo la possibilità di far gol diventa utopia.
GLI STRUMENTI DEL GOL Arduo, se non impossibile, zittire le critiche se/quando non si hanno gli strumenti adatti per farlo: Edin, prima della sfida con il Bate, è stato fin troppo generoso, assumendosi la totale responsabilità della sua scarsa vena realizzativa, ma non v’è dubbio che in quella circostanza abbia peccato di generosità. Dzeko, in carriera, ha segnato quasi tutti i suoi gol dall’interno dell’area avversaria: se lo si costringe ad improbabili e dispendiose rincorse a tutto (metà) campo alla ricerca del pallone lanciato quasi a casaccio dalla difesa si azzera il suo potenziale. Va bene mettersi al servizio dei compagni, va benissimo aiutare la squadra a proporre la manovra (manovra?), ma non può esser che debba essere costantemente lui a giocare per la Roma e non la Roma per lui. A Napoli, la Roma ha chiuso la partita (gol annullato a De Rossi a parte) senza mai metter paura al non giudicabile Reina: tutta colpa di Dzeko? Macchè. Colpa di un gioco offensivo che non esiste e della voglia di pensare primo a non prenderle. Tutto comprensibile, non c’è dubbio; a parte l’eventuale bocciatura di Dzeko, triste e solitario. E incolpevole.
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