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Dzeko

I gol, pian piano, stanno venendo, anche su rigore, storicamente nemmeno una sua specialità, il resto arriverà. Edin Dzeko va avanti a piccoli passi: è partito a razzo (gol contro la Juve alla seconda giornata di campionato), poi si è fatto male, ha ripreso e il gol non arrivava (in undici gare di campionato, una rete, quella), poi si è sbloccato (con due gol in cinque giorni, al Bayer e alla Lazio), poi è arrivato il primo centro in trasferta, sabato a Bologna. Ha segnato due calci di rigore, sia a Marchetti sia a Mirante, meglio quello del Dall’Ara che non quello dell’Olimpico, ma la sostanza non è cambiata: ha fatto gol comunque. Cosa che in passato non gli è capitata spesso, almeno dal dischetto: undici tiri dagli undici metri, quattro i gol. Tra l’altro uno lo ha fallito in maniera rocambolesca proprio controSzczesny, in un vecchio Arsenal e ManCity del 13 gennaio 2013. Adesso penserà: mi manca tornare al gol su azione, dovrò segnare in trasferta in Champions e così via. Piccoli passi, appunto. Intanto ai gol pensa il suo amico Pjanic, otto tra Italia ed Europa, da fermo e da azione, più cinque assist.

CHI È EDIN Intanto Dzeko sta studiando da bomber diverso. Si dice: è un calciatore che gioca per la squadra, con la squadra che non riesce a giocare totalmente per lui. Questo ha detto anche Garciadopo Inter-Roma. A Bologna, ad esempio, su quel campo pozza, il bosniaco si è sbracciato, battuto, ha fatto sponde, ma per chi? Nessuno. La Roma deve giocare pensando di avere van Basten lì davanti, non Toni. Boom. Spieghiamo: Dzeko è un attaccante che ama giocare con la palla a terra, gli piace muoversi anche nello stretto, non è (solo) una punta da reparto, tipo lampione dove sbattono tutti i palloni, non è (solo) uno da spizzate a destra e manca. Basti riandarsi a guardare la giocata che fa per preparare l’assist a Salah in Roma-Bayer Leverkusen: palla alta, stop, palla a terra, torsione, campo aperto, verticalizzazione, gol e via con l’abbraccio. Ovvio, una giocata del genere – visto il terreno del Dall’Ara – era impossibile pensarla sabato scorso a Bologna, non si stava in piedi. Dzekoquello che doveva fare lo ha fatto, cercando di tenere alto il gioco, ma non è stato semplice. Anche al Dall’Ara, occasioni gol sui suoi piedi, zero. Con la Lazio, una solo clamorosa, poi partita in linea con le altre, da centravanti diverso, da falso nove. Insomma, Edin non segna poco perché sbaglia; segna poco perché gioca in maniera diversa, ha poche occasioni da sfruttare. In questo momento in cui mancano altri due bomber come Salah e Gervinho, tocca a lui trovare la via del gol, ma serve l’aiuto dei compagni, abituati da sempre a stare senza riferimento vero avanzato. Se aBologna non è stato possibile, a Barcellona, per motivi diversi, lo sarà anche meno.

FISICO E NON SOLO Ma non è detto: le palle in mezzo di Florenzi e Iago Falque possono essere utili, così come le verticalizzazioni di Pjanic. L’impressione è che questo calciatore per adesso abbia messo a disposizione più il fisico che non la sua qualità di giocatore di pallone. Van Basten è un paragone esagerato, ma forse fa capire che la Roma ha preso un certo tipo di calciatore e non un altro. Uno che comunque i gol li ha sempre fatti, in ogni competizione: 16 gol tra Europa e Champions League, 146 nei vari campionati, tra Premier, Bundesliga, Bosnia, Repubblica Ceca e serie A: sono 188 in totale, considerando anche quelle nelle varie coppe Nazionali. Qui lo stiamo considerando un centravanti tutto fisico e sbracciate e gli tirano la palla addosso. Sì ok, ma non solo. Il Camp Nou è terra di campioni, lui deve tornare a considerarsi tale. Per la squadra, con la squadra. A riportarlo è l’edizione odierna de Il Messaggero.

edwin iacobacci

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