Roberto Donadoni, attuale tecnico del Bologna, ha concesso una lunga intervista a “Il Messaggero”.
«Parma è una città a cui sono molto legato, lì è nata anche mia figlia. Ma non parliamo di eroi. Ho solo fatto ciò che mi sentivo e la situazione era molto complicata. Io sono rimasto fino alla fine, per me era un dovere e non sono scappato. C’è poi chi lo ha fatto in maniera elegante e chi ha pensato solo ai cavoli propri». Nomi facilmente individuabili.
Bologna è un’altra scommessa. E’ arrivato e subito due vittorie: ha per caso la bacchetta magica?
«Ma no, siamo in una fase conoscitiva, le condizioni di lavoro sono buone. I risultati dipendono anche dalla fortuna. E’ chiaro che quando ti chiamano in corsa, spesso vuol dire che ci sono da risolvere determinati problemi. Ma la squadra sta mostrando di aver ritrovato stimoli, s’è creato un senso di competitività, non potrà che aiutare».
Capitolo Destro: qual è il suo problema?
«Non mi sembra uno che si deprima facilmente. Ha solo bisogno di un po’ di fiducia. Il gol lo accenderà, in certi casi ci vuole anche un po’ di culo».
Perché Donadoni non riesce mai a fare il grande salto?
«Ho smesso di farmi queste domande. Se gioco a tennis e perdo, posso fare un’analisi su di me. Così, non so come spiegarmelo, specie alla luce dei risultati».
Ma una spiegazione c’è: forse è poco televisivo, non è personaggio. Oggi conta.
«Non lo so, può darsi».
E’ forse questo il motivo che non l’ha mai portata al Milan. Berlusconi ci tiene all’immagine…
«È lui che dovrebbe rispondere, ma mI piacerebbe sapere se il motivo sia davvero quello».
Un giorno arriverà la sua grande occasione.
«È il mio obiettivo: lottare per un grande traguardo su una panchina importante».
In Italia?
«Anche all’estero, in Premier magari. Mi piacerebbe anche allenare una nazionale straniera».
A proposito di Nazionale, vede differenze oggi rispetto a quando lei guidava l’Italia?
«Da un punto di vista federale, le cose sono migliorate. Noi eravamo in una situazione più delicata, incerta, si arrivava da un commissariamento. Purtroppo anche oggi siamo alle solite polemiche con i club, succedeva anche a me».
Oggi ci sono troppi stranieri, questo è un male del calcio?
«E’ un fatto, ormai è la normalità. Fa strano vedere certe squadre senza italiani».
Ai suoi tempi venivano solo stranieri forti.
«Se ne potevano schierare meno, questo sì. Ma era molto alta la qualità degli italiani. Nel mio Milan, gli stranieri ne dovevano mangiare di pagnotte prima di togliere il posto a noi».
Il campionato è senza un padrone. E’ positivo o, come pensano in tanti, siamo allo squallore.
«Non troviamo mai pace, non ci sta bene niente. Per me è un bel torneo».
Molte squadre optano per il contropiede. E’ un passo indietro?
«Dipende dalle caratteristiche dei giocatori. Quando giocavo nel Milan, ne facevamo uno e sapevamo di aver già vinto. Ma avevamo gente come Van Basten e Gullit che qualcosa si inventava sempre».
Il Napoli è così.
«Ecco, appunto. Con quei giocatori che ha là davanti, non incassi reti e prima o poi una la fai».
Sarri è l’allenatore rivelazione?
«Fino a qualche tempo fa si diceva di no, ora per tutti è così. È bravo, comunque».
Il tecnico emergente?
«Penso a Di Francesco: sta facendo un grande lavoro con il Sassuolo».
Il Napoli è Higuain, l’Inter Handanovic: e la Roma?
«La Roma non è indentificabile in un unico calciatore. Ma se ne devo dire uno, mi prendo Pjanic».
Le squadre più forti del campionato?
«Credo che la Roma e il Napoli siano un gradino sopra alle altre, hanno più continuità».
Che ne pensa di Garcia?
«È un bravo allenatore, con carattere. Ha superato bene una fase critica, non è facile allenare a Roma».
Veniamo a Totti. E’ vero che non aveva un buon rapporto con lui.
«Una grande scemenza. Francesco ha scelto di non giocare più in Nazionale. Ho convocato Cassano. Perché avrei dovuto ignorare Totti?».
Suggerirebbe a Francesco di smettere?
«Sono scelte personali, se si sente di poter giocare è giusto che lo faccia. Io ho smesso il giorno in cui non riuscivo più a stare avanti agli altri».
Bologna-Roma è una partita segnata?
«Sulla carta sì, come si fa a dire il contrario? Però…».