Cento domeniche e settecento giorni dopo la Roma torna lassù da sola in testa alla classifica. Era il 24 novembre 2013 quando l’armata juventina di Conte spodestò la prima versione griffata Garcia dei giallorossi nonostante le dieci vittorie iniziali. Stavolta, in un campionato decisamente più equilibrato, basta aver fatto 20 punti in 9 gare per salire al comando.
L’impresa di Firenze è la candidatura ufficiale allo scudetto. Arriva a un quarto del torneo, su un campo dove in pochi passeranno e contro una squadra che finora aveva incantato per qualità di gioco, ma costretta alla terza sconfitta di fila (una in Europa League). Stavolta il duello tattico lo stravince Garcia, abile a preparare un piano praticamente perfetto per chiudere gli spazi alla manovra viola e sfruttare quelli lasciati dietro dalla squadra di Paulo Sousa. Ma è anche la vittoria dei giocatori, motivati, umili, intelligenti, tutti disposti al sacrificio e concentrati fino in fondo, anche se pure stavolta sono riusciti a incassare un gol a partita finita.
Frosinone resta l’unica gara su dodici a porta inviolata, Garcia si consola alla grande con un attacco super (22 reti più 7 in Champions) che ancora una volta è risultato decisivo per ottenere la quarta vittoria di fila in campionato. Rudi si affida alle due ali Gervinho-Salah insieme a Dzeko, con De Rossi che stringe i denti (ma chiederà il cambio al 34’ dopo lo 0-2 e l’ammonizione cercata per «scaricare» la squalifica mercoledì) e Florenzi di nuovo terzino. Ma l’atteggiamento della squadra è votato all’equilibrio: il 4-2-3-1 di partenza si trasforma in 6-3-1 quando il pallone ce l’ha la Fiorentina. A parte i primi minuti, dove il pressing alto dei giallorossi porta a un dominio iniziale e al gol dell’ex di Salah, poi la Roma si difende con sei uomini in linea dietro. Una scelta dovuta alla rete di vantaggio, che porta i suoi frutti. Gervino e l’egiziano, talvolta addirittura Dzeko vanno a blindare le fasce insieme ai terzini, cercando di issare un muro su cui far sbattere il palleggio viola e poi ripartire veloci lanciando le ali.
L’azione dello 0-2 smaschera tutti i limiti della formazione di Paulo Sousa. Non si può lasciare una metà campo intera a Gervinho, non si può affrontare la Roma con un attaccante come Bernardeschi e un altro non bravissimo a difendere, Blaszczykowski, esterni nello scellerato 3-5-2. Inutili anche gli inserimenti di un attaccante dietro l’altro nella ripresa per passare al 3-4-3 della disperazione. Ai punti l’avrebbero vinta i viola, visti i 21 tiri contro 4 della Roma e il 61% di possesso palla, ma il calcio è un’altra roba.
L’unica cosa giusta il tecnico portoghese l’ha fatta alla vigilia, chiedendo ai tifosi di non concentrarsi su Salah ma piuttosto di incitare la Fiorentina. L’egiziano li ha puniti dopo 6 minuti e ha giocato una partita da campione, solo Orsato ha sporcato la sua serata con un’espulsione folle. Altri meriti dei singoli: Szczesny è tornato sicuro e decisivo, Manolas il solito muro, Florenzi mostruoso cambiando un’altra volta due ruoli in 90’, Gervinho devastante. E solo un salvataggio sulla linea di Bernardeschi sul tiro a botta sicura di Pjanic ha consentito alla Fiorentina di restare in partita. Il gol di Babacar è arrivato troppo tardi. Kalinic poteva riaprirla prima, Pepito Rossi ci ha provato, Garcia è corso ai ripari blindando la fascia destra difensiva con Torosidis e poi inserendo Gyomber da mediano.
Non c’è tempo per rifiatare. Mercoledì Rudi dovrà tenere alta l’intensità dei suoi contro l’Udinese, da affrontare senza De Rossi e Salah in un Olimpico semi vuoto. Intanto è stato bello rivedere e risentire i tifosi urlare di gioia in trasferta. «La società dei magnaccioni» risuona al Franchi ammutolito. La Roma è forte. Vedremo se vincerà. A riportarlo è l’edizione odierna de Il Tempo.