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LA REPUBBLICA Quel pizzino di Garcia infiamma la Roma: alta tensione dopo il 4-4

Nainggolan e De Rossi

Breve storia di un pizzino sgradito, alla Mourinho o alla Mancini, consegnato alla persona giusta nel momento sbagliato. La Roma sta ancora vincendo 4-3. Garcia affida il pezzetto di carta a Nainggolan e gli dice«Dallo a Daniele!». De Rossi si ferma, lo guarda, è tutto maledettamente surreale, ci manca solo di vedere il capitano frugarsi nei pantaloncini e tirar fuori un paio d’occhiali per leggere meglio. Daniele accartoccia il foglietto smoccolando e pochi secondi dopo il Leverkusen pareggia. Se era una formula magica, era quella sbagliata. Ma che fine aveva fatto la Roma in quei dieci minuti di terrore dilettantesco? «Non è da professionisti», ha tuonato Sacchi, «chiudersi nella propria area in quel modo». Una squadra angosciata all’idea di dover gestire il meritato 2-4, paralizzata dalla felicità. L’Empoli ci sarebbe riuscito. Il Napoli col drone avrebbe tenuto il Bayer fuori dalla sua barriera corallina e “sgonfiato” il pallone. Prendersela con Rüdiger non ha senso. Bisognerebbe piuttosto capire se il mercato serve a comporre una squadra o solo a garantire plusvalenze. Al romanzo di una squadra instabile (il campo non visionato di Borisov, la gestione degli infortuni, l’assemblaggio della squadra, la costruzione tattica, l’addestramento psicologico all’approccio e alla chiusura delle partite, 5 reti già subite negli ultimi 10’, i crolli con Juve e Palermo), andrà aggiunto il capitolo spogliatoi della BayArena, le urla, l’animo guasto di molti, l’ira di Dzeko che sarebbe dovuto entrare ma nessuno gli ha dato retta e Pjanic infuriato che si strappa di dosso la cravatta della divisa ufficiale. Paradossi di una situazione indecifrabile.

La squadra che domenica sera potrebbe finire in testa al campionato, la ciclotimica Roma che dilapida patrimoni, è una squadra che soffre di scoramenti improvvisi. Durante gli attacchi di panico perde interesse per il mondo, si chiude (nella propria area) agli stimoli esterni ( Kampl, Wendell, Mehmedi). Da depressa esprime un calcio compulsivo cui seguono lunghi momenti di esistenza vegetale (le ultime scene di Leverkusen). A volte, quando carica, è persino esaltante. Purtroppo però si ferma sempre troppo presto, o inizia tardi, anzi decide lei quando una partita comincia o finisce: «Bisogna starci per 95’», ha ripetuto ieri Garcia, come se non fosse scontato. E’ come se un 400entista smettesse di correre ai 300: come può pretendere di aver ragione o che gli avversari lo seguano? La rabbia della Roma è solo una manifestazione muscolare della sua acuta depressione? Esplosioni di vitalità, incompresioni, profonde apatie. E adesso c’è Firenze. Ah Trigoria di dolore ostello…

edwin iacobacci

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edwin iacobacci

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