L’harakiri in Champions è alle spalle, alla Roma serviva vincere a Palermo e risalire in quota «grandi» nella classifica del campionato dopo sette giornate: così è stato con tutti e «se» e i «ma» del caso. Alla squadra di Garcia infatti continuano a non riuscire le cose facili. Quando stai vincendo una partita per 3-0 dopo 28 minuti, devi solo portarla a casa. Ma anche a Palermo la Roma, dopo un avvio al fulmicotone, viene il «braccino» e fa tanta fatica per portare via un risultato meritatissimo. Prima subisce il 3-1 targato Gilardino con la complicità di una difesa di nuovo in bambola e che si dimostra ancora una volta il tallone d’Achille di questa Roma, poi nel recupero addirittura il 3-2 con un’altra dormita collettiva, prima del guizzo finale di Gervinho che archivia la pratica.
Partita spaccata a metà: sono sembrate, per certi versi, due gare diverse. Roma schierata con il 4-4-1-1, un primo tempo fatto di gioco, accelerazioni fulminanti, triangolazioni che hanno portato in rete i giallorossi (da manuale quella del primo gol di Pjanic), con il rientro di qualche interprete finora in ombra. Su tutti Gervinho vero mattatore della giornata: segna un primo gol (quello del 3-0) da fenomeno (e stavolta va data ragione a Garcia criticato quando aveva insistito sull’ivoriano), alla sua maniera e chiude la giornata col 4-2 che fa tirare un sospiro di sollievo ai tifosi romanisti incollati al divano di casa. Nel mezzo buone giocate sempre al servizio della squadra, qualche momento di «assenza», ma nel complesso il migliore dei suoi. Note di merito anche per Pjanic divenuto ormai il padrone assoluto del gioco romanista (quando sta così fa davvero la differenza) e conferme per l’infinito «jolly» Florenzi che stavolta Garcia riporta a centrocampo.
La sintesi non cambia quanto di bello e di brutto fatto vedere fin qui dai giallorossi. Cambia l’attacco ma non la sostanza visto che la squadra di Garcia viaggia con 17 reti in testa alla classifica delle squadre più prolifiche del campionato, ma continua ad incassare troppi gol. Il problema era ed è sempre lo stesso: la valutazione fatta a inizio stagione sull’organico difensivo a disposizione del tecnico francese. De Rossi fa dell’esperienza virtù ma non è un difensore centrale, lo può fare questo sì, ma partire da qui per dire che va bene così è un po’ diverso. Frettolosa e approssimativa evidentemente la valutazione sulle condizioni di Castan cosa che, non appena si ferma qualcuno (vedi Rudiger), mostra una coperta corta: cortissima. Almeno lì dietro. A riportarlo è l’edizione odierna de Il Tempo.