(A. Pugliese) Poco più di quattro mesi, quelli che sono passati da quel 30 maggio scorso, il giorno della famosa conferenza pre-Palermo che sconquassò la seconda Roma di Rudi Garcia, un soffio prima dell’ultima curva di campionato. Quel giorno è cambiato qualcosa nel rapporto tra il tecnico e l’ambiente giallorosso. Inteso come città, tifosi, ma anche squadra e club. Un giorno che resterà per sempre tra quelli chiave dell’avventura giallorossa di Garcia. Proprio prima di una sconfitta brutta e rovinosa come quella subita il giorno dopo, marchiata dai gol di Vazquez e Belotti. Il primo Garcia se lo ritroverà ancora davanti domani pomeriggio, il secondo no. Di certo, però, da quel giorno il Palermo non può più essere un’avversaria come le altre.
LE PAROLE Ma cosa successe quel 30 maggio? Garcia rilasciò delle dichiarazioni che ancora oggi fanno discutere, agitano, dividono. «Siamo i primi di un campionato a 19, la Juventus è irraggiungibile e il gap è destinato solo ad aumentare. La stagione ha dimostrato che questa divisa è troppo grande per noi, non serve illudere i tifosi. C’è differenza tra obiettivi e ambizioni. Io sono ambizioso, voglio vincere. Ma gli obiettivi sono altri». Apriti cielo, un fiume in pieno, un tam tam mediatico cominciato dieci minuti dopo e ancora mai sopito. Con profonde incomprensioni con i tifosi e la squadra. Alimentato poi da altre frasi, quelle sul mercato. «Da quando sono qui le cose sono chiare: prima di comprare c’è l’esigenza di vendere. Bisogna sapere chi siamo e come voler andare avanti, come crescere». Bum, altro giro. Con la dirigenza certo non a gongolare di felicità.
PERDENTI DI LUSSO In molti, per esempio, fanno risalire proprio a quella conferenza molti dei problemi della Roma attuale. Perché con quelle frasi Garcia ha praticamente detto ai giocatori di essere degli eterni secondi, che è quasi inutile lottare e faticare perché tanto non si potrà vincere mai. Inconsciamente, il gruppo ha somatizzato un messaggio da perdenti. Perdenti di lusso, ma pur sempre perdenti. Soprattutto per chi da tempo dice di voler invece vincere. E alcuni degli stessi giocatori non hanno gradito, non essendo d’accordo sul tema. Così la leadership, l’autorevolezza del tecnico è scemata via. Quasi si è liquefatta, per alcuni di loro.
DISTANZA BIVALENTE Da quella conferenza, però, anche Garcia è diventato diverso. Meno spavaldo, meno propenso a slogan e proclami. Soprattutto meno amato dai tifosi. Perché la gente si è sentita tradita dal proprio condottiero, dall’uomo che aveva individuato nel paladino della rinascita, della difesa della trincea, della tutela delle aspettative. Quella resa pubblica non è piaciuta, fino ad arrivare ai fischi di Roma-Carpi, lui che nel momento della massima contestazione della scorsa stagione (Roma-Fiorentina 0-3 di Europa League) era stato preso a esempio da sbandierare davanti ai giocatori («Vogliamo 11 Garcia»). Da quella conferenza lì, però, anche il rapporto con la dirigenza è cambiato. Pallotta — che lo ha tenuto in vita — poco dopo dichiarò: «Rudi sa di aver sbagliato a dire certe cose». Già, perché la bandiera bianca e l’ammissione di dover far quadrare sempre i conti non piacquero per niente nelle sacre stanze di Trigoria. Ora, quattro mesi dopo, c’è ancora il Palermo. E il futuro di Garcia passa inequivocabilmente dal risultato di domani al Barbera.
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