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Garcia

Garcia vattene. Radio, twitter o facebook non fa differenza: nessuno, quasi più nessun tifoso della Roma vuole ancora il francese alla guida della squadra giallorossa (tranne che a Borisov, con quella maglia…). Parola d’ordine: Garcia vattene. È stato individuato in lui il colpevole per la tante, troppe figuracce. Che non sia l’unico responsabile, però, lo sanno anche i più feroci accusatori: solo che, oggi, al centro della contestazione social del villaggio c’è l’uomo che non dice mai “è colpa mia”. Ecco, questa sua continua, mancata assunzione di responsabilità è una delle (tante…) cose che hanno urtato i nervi della gente.

Mai un mea culpa convinto, sempre lo scarico verso gli altri. Un giochetto che, alla lunga, ha stancato anche i calciatori, sempre e comunque nell’occhio del ciclone. L’eroe del post 26 maggio via via ha mostrato limiti e costruito errori impensabili dopo la cavalcata delle dieci vittorie iniziali consecutive. Il francese ha cominciato a sentirsi più indispensabile che utile alla causa romanista, e questo l’ha portato fuori strada: vistose botte di fenomenite, formazioni illogiche, turn over scellerati e tante, troppe dichiarazioni stonate. Al punto che molte volte sono stati peggio i post partita che la partita stessa. Ma se lui avesse dato alla squadra un gioco riconoscibile, tutte le critiche al personaggio oggi non avrebbero senso: la Roma, invece, sono mesi e mesi che gioca come viene, cioè senza uno spartito, incapace di produrre due volte in partita la stessa giocata. Affermando sistematicamente, così, il principio della casualità.

FENOMENITE – Ciò che l’ha portato al “Garcia vattene” è un continuo voler sfidare la logica. La recente partita contro il Sassuolo, ben prima della vergogna di Borisov,aveva indicato nettamente l’andazzo: sei cambi rispetto a Frosinone, sottovalutazione pazzesca e immotivata dell’avversario, impiego scriteriato di alcuni giocatori (Maicon, Torosidis) e rinuncia inspiegabile di altri (Florenzi, Digne, Dzeko, IagoFalque). Aveva urlato al mondo per tutta l’estate di aver bisogno come il pane di un esterno sinistro basso, di un centravanti e di un attaccante di fascia ma alla quarta giornata i nuovi arrivati li aveva già sistemati sulla panca. Nelle prime otto partite dell’attuale stagione ha cambiato otto volte formazione, ma se contassimo anche quelle meno recenti la storia sarebbe la stessa, con rarissime eccezioni. Non vuole una Roma-tipo, ha dichiarato, ma il suo scellerato turn over spesso e volentieri ha avuto il sapore di un contentino verso questo o quello.

ADDIO FEELING – I fatti, non le chiacchiere, testimoniano che il feeling con Sabatininon è più così forte: Gyomber, Emerson Palmieri e Ponce, giocatori voluti fortemente dal ds, non sono stati inseriti nella lista Uefa e in campionato non vengono sistematicamente presi in considerazione. Così come Uçan, pupillo di Sabatini alla pari di Paredes, costretto ad emigrare a Empoli per trovare un po’ di spazio. Gervinho,invece, dall’avvio o a gara in corso, trova (quasi) sempre posto, e questa cosa ha fatto imbestialire sia i tifosi che alcuni compagni di squadra dell’ivoriano.

SPOGLIATOIO DI TRAVERSO – Un vecchio maestro di calcio ama ripetere: «I giocatori devono aver paura del loro allenatore ». Nella Roma attuale, in realtà, sono pochi (rari…) quelli che hanno paura di Garcia. Non perché Rudi sia loro amico, ma perchéall’interno dello spogliatoio non c’è più la stima di un paio di anni fa. Rudi, depotenziato dalla società in estate, è stato virtualmente depotenziato anche dai suoi giocatori. Se la Roma non gioca oppure gioca male; se viene travolta da un sospiro; se esalta in continuazione l’avversario, seppur timido e impacciato; se riesce a far diventare difficili tutte le cose facili; se tatticamente è primitiva, la colpa è di chi l’ha costruita, certo, ma soprattutto di chi la gestisce, la guida, la allena dopo aver avallatto tutte le mosse sul mercato. E che continuerà ad allenarla perché chi ha costruito la Roma non vuole cambiare. O meglio, non può cambiare. A riportarlo è l’edizione odierna de Il Messaggero.

edwin iacobacci

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