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Garcia

Il raccolto, quando è pure corposo, non si discute mai. Si prende e si mette lì. In classifica. Che, a Trigoria, è di questi tempi l’unica cosa che conta. I 7 punti, nelle prime 3 gare di campionato, promuovono sicuramente la partenza della Roma nella nuova stagione. Senza guardare chi sta peggio, a cominciare dai campioni d’Italia, e quindi senza fare il paragone con le avversarie più pericolose e con gli anni passati, è giusto valutare positivamente quanto conquistato sul campo. Questo per chiarire che a lungo si potrà trascinare il dibattito su quanto incide la bontà del gioco sul rendimento della squadra. Nè al Bentegodi contro il Verona nè al Matusa contro il Frosinone i giallorossi hanno offerto prestazioni decenti. Anzi, a dir la verità sono state abbastanza deludenti, soprattutto se accostate all’esibizione contro la Juve. Le due trasferte hanno comunque fruttato 4 punti (1 pari e 1 successo). Quindi, lasciando stare i gusti di ognuno, sono i numeri a chiudere il dibattito. Momentaneamente, però. Perché mai si troverà l’accordo tra le differenti scuole di pensiero. Da una parte ci sarà sempre il partito del risultato attraverso il calcio propositivo e coinvolgente e dall’altra quello all’opposizione che pensa solo alla sostanza e mai alla forma. Garcia vota per il primo, ma ora si sta appoggiando al secondo. C’è tanto da lavorare, come ha detto lo stesso tecnico. Vediamo come e dove. Il gioco della Roma sembra in stand by. Come se non fosse identificabile. Nello spettacolo e ancor di più nel metodo. Proprio come nell’ultimo torneo, da gennaio in poi. L’unica giustificazione, in questa fase iniziale, è rappresentata dalle novità volute da Pallotta. In particolare due: cambio di preparazione, scadente l’anno scorso, e di rosa, non attrezzata per più competizioni. I giocatori si devono abituare alla prima e al tempo stesso conoscersi tra loro per dar un senso all’altra. Il secondo aspetto è più ingombrante. Mezza squadra è diversa. Ci riferiamo ai titolari: Szczesny, Ruediger, Digne, Salah, Iago Falque e Dzeko. Più Florenzi che, ispirandosi a Dani Alves, studia da terzino. Al Bentegodi, al debutto nel nuovo campionato, Garcia ha scelto il 4-2-3-1. Proprio come al Matusa, dove il sistema di gioco, nonostante la vittoria, ha evidenziato di non essere adatto ai giocatori schierati. Sbagliata sia la scelta del modulo che quella degli interpreti. Contro il Verona il gioco non è stato migliore, ma l’idea sì. Perché Pjanic da trequartista si è subito capito con Dzeko. E la conferma si è avuta contro la Juve, con i 2 bosniaci decisivi da finalizzatori e soprattutto presenti nel lavoro di squadra. L’assenza di Pjanic contro il Frosinone si è sentita. Perché lui ha peso, quando si abbassa nel 4-3-3, anche in regia. E rispetto a Keita e De Rossi verticalizza e velocizza maggiormente la manovra. Va cercato il sostituto nella rosa. In settimana l’allenatore ha provato Uçan, ma continua a non dargli fiducia. Non lo considera pronto. E’ lì in mezzo che si fa la Roma. Keita e De Rossi nel 4-2-3-1 non sono coppia. Nè uguali, nè partner. Meglio Nainggolan che va bene con entrambi. Sabato pomeriggio sarebbe stato più facile giocare con il centrocampo a 3, ma la presenza in contemporanea di Totti e Dzeko ha sconsigliato quest’opzione, a prescindere dai timidi tentativi fatti durante la scorsa settimana. Anche perchè il capitano non è più abituato a fare il trequartista di ruolo e, accanto al nuovo centravanti, sembra fatto apposta per il 4-4-2. Va sempre bene modificare il modulo anche in corsa, come è successo due giorni fa, passando al 4-1-4-1. Ma sarebbe preferibile puntare su uno e approfondirne la conoscenza. Aspettando Castan e, per certi versi, pure Ruediger che è in ritardo e da sgrezzare, il miglior difensore centrale da affiancare a Manolas rimane De Rossi, ormai più stopper che regista. La gara contro il Frosinone ha indicato la via: in alcuni ruoli bisogna insistere sui titolari. Come esterno d’attacco Salah non può star fuori per Gervinho e Nainggolan, pure stanco, è fondamentale per la Roma, spesso statica per abitudine più che per scelta. Alla Champions è stato possibile pensare solo perché la tappa precedente è stata al Matusa. Il turnover sgrammaticato di sabato, insomma, non è da ripetere. Per non rischiare e per crescere. A riportarlo è l’edizione odierna de Il Messaggero.

edwin iacobacci

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