(C.Zucchelli) – Nascere in provincia di Cremona, trasferirsi a Roma, scegliere di viverci una vita: «Perché di più belle non ce n’è». E oggi che quella vita arriva a una tappa importante, 80 anni, dire: «I bilanci li lascio agli altri, io preferisco i ricordi». Tutti, anche quelli che vorresti non avere. Giacomo Losi festeggia un compleanno importante e ripercorre, in 8 domande, una per ogni decade, tutte le tappe della sua vita. Lui che sognava «di fare il ciclista» e che da ragazzino amava Coppi, poi ha scelto di fare il calciatore. «Sì, perché Coppi era un mito, ma io andavo in piazzetta o all’oratorio a giocare a calcio appena riuscivo a costruire una palla di pezza. Alla fine ha prevalso quella rispetto alle due ruote».
A 13 anni l’amore per il calcio.
«In quel periodo ho creato una squadra nel mio paese, la “Virtus”. Abbiamo ordinato delle magliette a Brescia, ce le hanno portate nerazzurre come l’Inter, pagate con la nostra paghetta. I pantaloncini li ho cuciti io, che facevo il sarto da mia zia».
A 19 anni l’arrivo a Roma.
«Con tanto di contratto firmato nella sala d’aspetto della stazione di Bologna. La Cremonese ci ha guadagnato 7 milioni, così sono iniziate le mie grandi storie d’amore: quella con la Roma e quella con mia moglie. Abitavo a via Quintino Sella, la vedevo mentre andava a comprare il latte, ci siamo innamorati e sposati. Sono nati due figli, meravigliosi. Me ne è rimasto solo uno, Daniela è morta 9 anni fa. Nessun genitore dovrebbe sopravvivere ai propri figli, dovevo andarmene io al posto suo».
In quegli anni diventa «Core de Roma» perché rimane in campo da infortunato.
«In realtà il soprannome non è nato dopo il Roma-Sampdoria in cui ho segnato da infortunato, ma qualche giorno prima durante “L’oggetto misterioso”, con Walter Chiari. Lui mi introdusse proprio così: “Ecco a voi Giacomo Losi, er Core de Roma”. Sarei rimasto a vita, ma Helenio Herrera ha deciso che non ero più utile e quindi sono andato alla Tevere Roma per una stagione, poi ho smesso».
E ha iniziato a fare l’allenatore, nel 1976 era a Bari quando nasce Totti.
«Uno dei ragazzi migliori che ho incontrato nella vita. E non parlo del calciatore, quello lo conosciamo tutti, anche se mi stupisco che si parli solo della sua tecnica e mai della sua fisicità. È diverso da me, io ero un giocatore più d’impeto, ma la classe sua me la sognavo. E mica solo io, è uno dei giocatori più forti di sempre. Un generoso, anche, avrebbe meritato una carriera più vincente. Io, all’inizio ero più egoista, i primi allenatori mi dicevano: “Sei un ottimo difensore, ma ricordati che ci sono anche gli altri compagni”».
Per questo si rivede più in De Rossi?
«Sì, lui è più istintivo, come me. Però io mi rivedo tanto in Florenzi. Lo vedo migliorare di partita in partita, ha voglia di imporsi. Il dinamismo che ha lui ce l’avevo io, ha un piede buono, insomma, ha tutte le qualità per fare una grande carriera».
Ce le ha anche suo nipote, che gioca nella Lupa Roma?
«È un difensore, gioca terzino destro. È alto, molto più di me, ed è tra i più piccoli della squadra. È un 97, avrà tempo di crescere, il mio Marco, e di vedere se il calcio sarà la sua vita, come lo è stato per la mia».
Ottanta anni, 3 scudetti su 3 della Roma visti: che regalo si aspetta oggi Losi?
«Dalla Roma mi aspetto il quarto scudetto, la squadra mi sembra costruita per vincere, Garcia adesso avrà il compito più difficile. Troppo banale come risposta? Ve l’ho detto che io ho la Roma come una seconda pelle, da loro voglio davvero solo questo come regalo…».
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