Cronistoria di Kevin Strootman, campione nato ma sfortunato, cresciuto fra Sparta Rotterdam, Utrecht e Psv per poi approdare alla Roma, fatta appena innamorare, subito lasciata, suo malgrado. Anche Van Gaal aspetta ansioso il ritorno del capitano dell’Olanda attorno al quale stava costruendo il futuro degli Oranje.
(A.Bocci) – C’è sempre qualcosa che non si riesce a lavare. Un macchia, un’offesa, una paura, un ricordo che non vuol saperne di scolorire. Nella vita di Kevin Strootman, soprannominato a Roma la lavatrice («gli arrivano palloni sporchi e te li rende puliti», disse una volta Garcia), c’è questo ginocchio sinistro tormentato, legamenti e cartilagini che gli hanno già fatto perdere un Mondiale e ora gli faranno perdere un Europeo, sempre che l’Olanda si qualifichi. Strootman ha reso candidi tanti palloni con tocchi intelligenti, ma ha avuto bisogno di una terza operazione e di un nuovo chirurgo per provare a guarire davvero. Stavolta si è operato a Roma. Il professor Mariani è soddisfatto, dice che Kevin tornerà a giocare. L’annuncio dell’operazione è arrivato un po’ a sorpresa, Kevin ha deciso quando ha capito che non si poteva andare avanti fra speranze e problemi. […]
Kevin Johannes Willem Strootman nasce in una cittadina dell’Olanda meridionale, Ridderkerk, nel febbraio del 1990. Un posto tranquillo. Gioca a pallone come tutti i bambini olandesi nel vivaio di una piccola squadra, poi fa un provino per lo Sparta Rotterdam, il club nel quale anche suo padre aveva giocato, senza però diventare mai un professionista. Il mondo si apre. Nel 2007, a 17 anni, la sua vita prende improvvisamente il ritmo di una centrifuga. Subito o quasi nella prima squadra dello Sparta, e il 5 febbraio 2008 l’esordio in Eredivisie contro il grande Ajax: Strootman perde 6-2, ma il ghiaccio è rotto. Nello stesso periodo i suoi genitori divorziano e lui resta molto legato al fratello, Wesley. In un paio d’anni lo Sparta retrocede. I suoi migliori amici Nick Viergever e Erik Falkenburg vengono ceduti, è un altro strappo alla giovinezza perché Kevin invece resta nel club, ma per poco: nel gennaio 2011 lo chiama l’Utrecht, e il passaggio è breve. In sei mesi convince i dirigenti del Psv, terra di grandi centrocampisti. Strootman trova la sua strada.
Il tecnico Foeke Booy lo aveva notato fra i giovani dello Sparta Praga per via di un gran gol, ma non soltanto per quello: sin da ragazzino Strootman rispettava pienamente il clichè del giocatore di talento, destinato a diventare un leader. Probabilmente lo stesso tratto che ha convinto Louis van Gaal a affidargli una volta la fascia di capitano dell’Olanda a 22 anni. Van Gaal puntava su Strootman per il Mondiale 2014, ma la fortuna è girata, per l’Olanda e soprattutto per Strootman: era entrato nel giro della nazionale con Van Marwijk che poi lo aveva lasciato fuori da Euro 2012, canto del cigno di Mark van Bommel. Van Gaal stava disegnando una Olanda a misura dell’erede quando il ginocchio di Strootman si è sgretolato per la prima volta, durante Napoli-Roma: al 13’ del primo tempo, Kevin si scontra con Dzemaili ed esce in barella. E’ il 9 marzo 2014. La Roma perde un giocatore che a suon di gol e geometria stava ripagando i tanti soldi spesi (16,5 milioni più bonus) con un rendimento ottimo, l’Olanda perde un pezzo importante, Strootman perde un sogno.
Sembra il fratello olandese di Giuseppe Rossi: cadere rialzarsi rialzarsi e ricadere. Aveva sperato nell’Europeo e poi era stato mandato con la Under 21, aveva costruito il suo Mondiale per ritrovarsi a casa, sballottato dall’affetto degli altri e dalla costernazione. Un po’ come è successo ieri, quando ha annunciato l’operazione tris ed è stato subissato di messaggi su twitter, compresi quelli dell’avversario Marchisio e selfie con lavatrici fatti per provare a tirargli su il morale. Un film già visto. Dopo otto mesi dal primo infortunio Strootman era tornato in campo nel novembre 2014 sperando di ritrovarsi pian piano, ma non ne aveva avuto il tempo: a gennaio, nella partita contro la Fiorentina, era arrivato un nuovo infortunio allo stesso ginocchio, un nuovo guaio, e quella sensazione di precarietà che a un certo punto ti si appiccica addosso. La seconda operazione aveva il compito di risolvere un malanno dal nome poetico, sindrome del Ciclope: peccato che l’unica cosa poetica sia la definizione e non ci sia molto di poetico nell’avere bisturi e sonde addosso, a maggior ragione se non è la prima volta che capita. Ma Kevin è un duro, è l’erede di Van Bommel. Kevin vuole rialzarsi e ci prova ancora.
Sa cosa lo aspetta. La fisioterapia, la litania dell’attesa, il mantra dei cronisti : «Kevin, quando rientri?». Dicono che negli ultimi tempi fosse depresso, arrabbiato con i medici olandesi che lo hanno operato, i quali sono arrabbiati a loro volta per le polemiche seguite ai primi due interventi e ai tempi di recupero che non finivano più. «Sarò sottoposto a un intervento di chirurgia», ha scritto Strootman su Twitter prima di entrare di nuovo in clinica. «Sono enormemente deluso dal fatto che non potrò dare il mio contributo alla Roma e alla nazionale olandese per i prossimi mesi, ma farò di tutto per tornare in campo il prima possibile». Nella memoria rimbomberà il rumore dei derby, passerà l’arancio delle maglie dei tifosi olandesi, scorrerà il filmato di quel piede sinistro tanto lodato prima che il ginocchio si ingrippasse. Non ci saranno palloni da lavare e anche pensare a lavare le colpe di chissà chi non sarà utile.
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