(M. Ferretti) Sintomi di pareggite, la malattia che nel passato campionato aveva colpito la Roma arrivando quasi a distruggerla? Tanti. Troppi. Possibile? Possibile. Ma come: la nuova Roma è la vecchia Roma? Sì, almeno la Roma vista al Bentegodi è sembrata molto simile a quella che aveva balbettato calcio nell’ultimo girone di ritorno: lenta, impacciata, approssimativa e senza un filo logico di gioco. Una delusione. Una profonda delusione. In pochi, crediamo, avevano ipotizzato una prestazione così brutta: una Roma incapace di offrire qualcosa di efficace sul piano offensivo, di controbattere il non gioco del Verona con un’invenzione, con una mossa, con una giocata studiata in allenamento. Perché ormai l’hanno capito tutti, nessuno escluso, come gioca (gioca?) la Roma e, quindi, bloccarla è diventato facilissimo. Questo perché non esiste un’organizzazione tattica in grado di sopperire alle difficoltà che si incontrano sul campo, perché non c’è abitudine (addestramento?) ad affrontarle. Sotto questo aspetto, le responsabilità dell’allenatore sono nette: sarà anche vero, questo è indiscutibile, come dice Garcia che la rosa non è completa, che c’è ancora da migliorare sotto il profilo tecnico ma, nonostante tutto, la Roma ieri ha offerto una prestazione per certi versi sconcertante. E chi maledice le parate finali di Rafael non deve dimenticare la sua papera sul gol di Florenzi e i precedenti salvataggi di Szczesny. Incomprensibili alcune scelte iniziali del francese, con quella di Gervinho che ha lasciato tutti a bocca aperta. C’era da aspettarselo che Rudi non avrebbe mai rinunciato al suo pupillo, stupidi noi che non l’avevamo messo nel conto.
L’INTOCCABILE – Visto Iago Falque così brillante contro il Siviglia, era stato automatico immaginarlo di nuovo in campo a Verona, invece niente. Garcia ha messo dentro il primo giocatore ceduto dalla Roma (probabilmente anche con il suo placet), rimasto poi a Trigoria per motivi che nessuno ha voluto ancora/mai spiegare con precisione. E Gervinho ha ripagato la fiducia del suo amico allenatore con una prova incolore, stile post Coppa d’Africa, meritando solo la terza sostituzione, cioè l’ultima. Come se Rudi non avesse mai voluto allontanarlo dal terreno di gioco. E non sono pochi quelli che hanno immediatamente etichettato la sua mossa iniziale come un messaggio (o una provocazione?), diretto e indiretto, alla società: questo a me serve, non va ceduto e lo faccio giocare subito. Vero o no, resta l’immagine di una Roma sprovveduta sul piano del gioco (Manolas e Castan non potranno mai impostare l’azione, per dirne una), una Roma che se ha ambizioni di primato deve cancellare Verona e ricominciare. Daccapo, probabilmente.
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