E pensare che Vincent Candela quel 17 giugno non sarebbe dovuto scendere in campo. Aveva disputato tutte le partite fino a quel momento, senza saltarne nemmeno una, diventando uno dei protagonisti assoluti della cavalcata verso il tricolore, ma a un certo punto il destino gli si era messo di traverso. Una ventina di giorni prima venne espulso in Roma-Milan 1-1 da Cesari per un’incomprensione con Kaladze: rosso e squalifica per le gare Napoli-Roma e Roma-Parma. Al San Paolo al posto suo giocò Di Francesco (unica apparizione in quel torneo), ma la Roma non riuscì a conquistare la vittoria rimandando la festa alla settimana successiva. Contro il Parma, all’Olimpico, ultima giornata del campionato 2000-2001.
Candela: e poi cosa accadde? Come fece Capello a contare su di lei?
“La società presentò ricorso e questo fu accettato. Ricordo che era il venerdì precedente alla sfida quando arrivò la notizia. Mancavano quarantotto ore all’evento più importante. Appena mi informarono, esultai. Ma fino a un certo punto…”.
Perché fino a un certo punto?
“Perché ancora non avevamo vinto nulla. Affrontavamo un Parma fortissimo, con giocatori del calibro di Buffon, Cannavaro, Almeyda, Di Vaio. Tutto sarebbe stato tranne che una passeggiata”.
Che ricordi ha di quella giornata?
“Beh, senza dubbio la tensione che si respirava sul pullman nel pre-partita. Eravamo molto concentrati, alcuni proprio non comunicavano rimanendo in silenzio totale. Tipo Batistuta, che non pronunciò parola fino all’arrivo all’Olimpico. Un professionista esemplare anche in questi dettagli. Io in quella stagione mi sedevo sempre dietro, tipo come a scuola per chi si mette all’ultimo banco. Eravamo io, Totti e Montella. Quel giorno parlammo soprattutto di come scendere in campo e di quale atteggiamento adottare”.
E per fortuna il gol del vantaggio arrivò al 18’ del primo tempo con Totti. Fu una liberazione?
“Assolutamente. Quel gol ci diede molta più tranquillità e fu decisivo nel 3-1 finale. Francesco capitalizzò al massimo un mio assist dalla fascia sinistra indirizzando il pallone sotto l’incrocio dei pali. In quella circostanza risultò determinante anche un movimento di Montella, che liberò Totti alla conclusione. Un’azione perfetta, testimonianza della complicità che si viveva in quello spogliatoio”.
Eppure, alcuni suoi colleghi, nel corso del tempo hanno raccontato di alcuni dissapori tra calciatori di quella rosa.
“Eravamo una famiglia e come tutte le famiglie si vivevano momenti positivi, in cui tutto filava liscio e altri meno dove si discuteva. In qualsiasi famiglia si va d’accordo, ma allo stesso tempo i confronti non mancano. Fu così anche per quella Roma”.
Quindi, il gruppo era unito?
“Le racconto un aneddoto per far capire meglio l’aria che si respirava tra noi…”.
Prego.
“Da grande appassionato di Harley Davidson convinsi la maggior parte dei miei compagni di squadra a comprarsi le moto nonostante non si potesse per ragioni contrattuali. E quando avevamo un giorno libero, andavamo tutti in moto a Ostia insieme. Anche questo contribuì a farci vincere il campionato”.
Del passato se n’è parlato, nel futuro di Candela cosa c’è?
“Ho preso il patentino di allenatore e mi sto già guardando intorno per iniziare questa nuova avventura. Probabilmente, partirò da qualche squadra straniera. Proporrò un calcio offensivo, cercando di trarre ispirazione dall’esempio di Guardiola e dei tanti tecnici che ho avuto in carriera. Inoltre, da qualche anno porto avanti una fondazione per aiutare i bambini che non possono permettersi di fare sport. Abbiamo anche avviato un discorso con Roma Legend per studiare iniziative con il Club giallorosso. La Roma è sempre al centro della mia vita”.
Fonte: asroma.it
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