Ecco un’intervista inedita in Italia concessa da Pallotta nei mesi scorsi (novembre 2014) al magazine specializzato SoccerEx, all’interno della quale il presidente giallorosso tocca più argomenti, dal potenziamento della squadra al nuovo stadio:
Lei vede la Juventus, almeno in Italia, come un obiettivo, un modello? Non soltanto nel senso di riuscire a batterli sul campo strappando loro il titolo di campioni, ma anche guardando a quello che hanno fatto al di fuori del campo, costruendo lo stadio di proprietà, controllando meglio le operazioni commerciali e così via.
“In realtà non direi questo…noi aspiriamo ad essere quello che la Juventus è stata per un lungo periodo di tempo, ovvero la vincitrice di un bel numero di campionati. Quando ho camminato nel loro stadio – per me era la prima volta – e mi sono guardato intorno, in qualche modo mi ha ricordato il Boston Garden, per i Boston Celtics. I Celtics sono la squadra che ha vinto più titoli nell’NBA e tutte le bandiere che celebrano quei titoli sono lì, in alto; nel caso della Juventus loro hanno scritto gli anni nei quali loro hanno vinto i loro campionati intorno allo stadio e sono parecchi. Sul campo noi aspiriamo chiaramente che sia la nostra squadra a vincere tanti campionati nei prossimi anni. Fuori dal campo io penso che loro abbiano sicuramente fatto un bel lavoro. Il nuovo stadio mi piace. Io non ho familiarità con quello che hanno fatto dal punto di vista commerciale, tuttavia penso che abbiano una buona base di tifosi internazionali. Per quanto riguarda gli aspetti commerciali noi abbiamo le nostre idee. Ci sono ovviamente squadre che hanno fatto bene come il Marchester United, il Liverpool e il Barcellona e altri, ma io penso che la nostra aspirazione deve essere quella di essere la Roma”
Quindi c’è un modello Roma? C’è qualcuno in Europa a cui guardate pensando “questo è quello che possiamo fare con l’AS Roma”?
“Io penso che sia in Europa che nello sport americano ci siano ed è quello che stiamo cercando di fare da quando io sono stato coinvolto nello sport; il team di manager che abbiamo costruito lavora nello sport da molto tempo, e abbiamo la possibilità di vedere tante squadre anche di altri sport e ciò che loro sono state in grado di fare. Il nostro obiettivo è più che altro quello di trovare i metodi migliori tra quelli che abbiamo potuto apprezzare nelle nostre esperienze pregresse. In moti casi noi non pensiamo che sia una questione di metodo o modello, quello che stiamo cercando di fare è costruire qualcosa di buono, diciamo un sistema nostro che funzioni. Ma logicamente ci piacerebbe avere su piano delle sponsorizzazioni quello che riesce ad avere il Manchester United, cosi come per quanto riguarda il numero di supporter. Dovreste vedere quello che è riuscito a fare il Liverpool in Asia. Guardate a quello che ha fatto il Barcellona e come riescono a convertire l’aspetto dei social media in vendite nel merchandising. Io penso che bisogna guardare a tanti club, guardando chi ha fatto bene e capire il perchè, poi dobbiamo domandarci se noi possiamo fare lo stesso o se possiamo fare anche di meglio allo stesso modo o anche se c’è qualcosa di completamente diverso che possiamo fare. E penso anche che in molti aspetti stiamo già facendo cose diverse da quelle che fanno molti altri club. Vedremo poi se queste si tradurranno in quello che vogliamo”.
Tornando a quando ha acquistato il club, quale è stata l’opportunità che ha visto?
“Ho dato un’occhiata veloce alla Roma già tra il 2007 e il 2008, quando c’era sul tavolo una trattativa con i precedenti proprietari che pensavo fosse abbastanza avviata all’epoca, ma alla fine si è interrotta. Poi, nella primavera del 2011 sono stato contattato da un gruppo di tre investitori che mi hanno detto di essere in cerca di una quarto per acquisire la Roma. Perciò io ero informato da tempo sulla Roma e su quello che sarebbe potuta diventare. Chiaramente si tratta di Roma. C’è la sua storia e anche la “storia”. Io l’ho sempre visto come un club su cui si potesse potenzialmente costruire un brand globale con una città come Roma alle sue spalle. Io entrai come investitore passivo, l’unica cosa su cui il mio gruppo doveva lavorare era l’aspetto del marketing più di ogni altra cosa perchè Sean Barror e Mark Pannes, che hanno lavorato con me alla Raptor, avevano un esperienza ultraventennale in questo campo così come io avevo esperienza nel mondo dello sport. Ma non ero il presidente a quel tempo. Nel 2012, per diversi motivi, ho finito per diventare presidente, compito che ho svolto solo negli ultimi due anni. Così nel primo anno io non avevo alcuna influenza ma guardavo al club pensando: si tratta di Roma! Se vuoi costruire un brand globale e hai alle tue spalle la città di Roma e una tifoseria incredibilmente appassionata allora hai già un bel punto di partenza; in più ero a conoscenza del fatto che oltre ai tifosi locali – che seguono la squadra con amore e sono pazzi di lei – c’erano anche grossi gruppi di tifosi in giro per il mondo, solo che non erano mai stati “attivati”.
Qual è stata la prima cosa che ha visto che non era mai stata fatta prima con il club? Perchè non stava esprimendo tutto il suo potenziale?
“Io penso che fosse per una serie di cose e diverse ragioni. E in parte penso che sia legato al fatto che lo sport in generale in qualche area dell’Europa per ciò che riguarda i contratti televisivi, il marketing, le politiche sui brand, i sistemi interni, i trasferimenti -tutte cose molto diverse tra di loro – non in molti casi sia gestito come un business. Così quando siamo entrati c’è stata la possibilità di introdurre alcune novità nella gestione della società su alcuni aspetti: come il mercato, i dati statistici sui calciatori, un management professionale che avesse reale esperienza nel mondo dello sport. Il lato del marketing era inesistente. In quello del merchandising… il club raccoglieva qualche milione di dollari ma quando si andava ad analizzare e ad allocarli perdeva soldi nel merchandising. Niente stadio – è stata davvero importante per noi intraprendere la strada per la costruzione di un nostro stadio. Io penso che il CONI faccia un ottimo lavoro con lo Stadio Olimpico, ma con i suoi 80.000 posti è troppo grande. C’è la pista d’atletica intorno al campo di gioco, questo non permette ai tifosi di sentirsi realmente vicini all’azione. In più lo stadio non è abbastanza confortevole e attrezzato per ospitare le famiglie. Tutte problematiche che afferiscono al tema dell’ospitalità. Perciò avere la possibilità di costruirne uno, che speriamo possa essere uno dei migliori del paese se non del mondo intero, era un’altra grande opportunità”.
Siamo tornati di nuovo al tema dello stadio, ma prima volevo chiederle se alcuni di questi problemi non siano intrinsechi al calcio italiano o se al contrario lei li riscontra anche in altri paesi europei.
“Guardi, circa dieci anni fa il campionato italiano era considerato il migliore del mondo. Giusto? Io penso che in molti casi forse non c’è stata abbastanza disciplina nello spendere e così molti club si sono trovati in difficoltà con enormi carichi di debiti sulle spalle. Molta di questa roba è stata ripulita. Poi c’è l’aspetto che riguarda gli stadi – ci torneremo – sul quale solo la Juventus è l’unico club all’avanguardia che possiede il proprio stadio. Ci sono poi altri club che stanno parlando di costruirlo. Avere questi stadi è veramente importante. Io ritorno su questo punto, non penso che molti club in Italia fossero amministrati come veri businesses, con la dovuta disciplina. Per quanto riguarda le TV, loro erano assolutamente soddisfatti del modo in cui erano strutturati i contratti nazionali e forse internazionali, mentre noi abbiamo pensato che entrando con la nostra esperienza nel campo dei media, dell’intrattenimento e della tecnologia si potesse fare ancora molto per portare le questioni televisive su un livello più alto, quello su cui dovrebbero realmente stare. Penso che ci stiamo arrivando ora, sia in campo nazionale che internazionale. Penso che in diversi modi, un gruppo di squadre si è seduto sugli allori. Loro hanno avuto molto per tanto tempo, avevano grandi squadre e ora si trovavano a dover reinventare se stessi. Se guardiamo al modello tedesco, dodici anni fa era in una sorta di confusione completa e ora la situazione in Germania, vuoi per gli stadi, vuoi per il lavoro sulle Academy, è incredibilmente differente”.
Per lei come investitore è più interessante un investimento se vede…
Delle difficoltà?”
Si quando in sostanza vede del potenziale ed una strada per mettere le cose a posto? O è più facile mettere i soldi e vedere ogni cosa progredire grazie ad essi?
“No io penso realmente che l’opportunità di investimento è quella in cui vediamo la possibilità di poter migliorare le cose in meglio sensibilmente. Io non penso che la vecchia proprietà fosse una cattiva proprietà o che abbia fatto qualcosa di sbagliato. Quando la figlia (Rosella Sensi ndr) prese il controllo del club, lei amava il calcio, amava Roma ed ha probabilmente fatto un bel lavoro per le sue percezioni e convinzioni, ma noi siamo arrivati con una differente percezione e sensibilità ed abbiamo visto in ogni area grosse possibilità di miglioramento e conseguente crescita. Su ogni cosa: il modo di prezzare i biglietti, il merchandising, le sponsorizzazioni, il nuovo stadio, i social media e l’attivazione dei tifosi trovandoli in giro per il mondo e coinvolgendoli con delle iniziative, nei media digitali e in quello che stiamo facendo sui contenuti, a partire dai nuovi studi che abbiamo costruito per la Tv e dalla nascita della Radio. Abbiamo solo visto tante possibilità ed opportunità di creare nuovo valore sostanziale per il club”.
L’atra cosa che è interessante per il suo ingresso nel club è che in qualità di investitore non è nelle condizioni di fare quello che veniva usualmente fatto dieci anni fa, a causa delle regole del Fair Play Finanziario, che impediscono di immettere direttamente tanto capitale nella prima squadra. In che modo questa cosa ha condizionato il suo approccio?
“Noi abbiamo una opinione molto positiva su quello che l’UEFA sta cercando di fare. Loro stanno tenendo sotto controllo più di cento squadre e le loro situazioni. Nel nostro caso io penso che avremo degli incontri con loro molto presto e loro resteranno piacevolmente soddisfatti. Nella nostra ottica, noi dovremmo diventare uno dei modelli di gestione di un club, perchè quando abbiamo preso in mano il club non c’erano solo debiti ma anche un flusso di cassa negativo. Noi sapevamo che avremmo dovuto introdurre maggiore equilibrio, ma sapevamo anche che in un paio di anni ci saremmo trovati ad amministrare il club come si amministra un business ed è quello che auspicabilmente avremmo avuto il flusso di cassa in pareggio o addirittura meglio.
Questo è quello a cui siamo arrivati: al momento la situazione finanziaria è positiva. Perciò qualunque cosa sia accaduta in passato, noi non pensiamo che possa causarci problemi. Voi dovreste guardare a quello che abbiamo fatto in questi due anni per arrivare fin qui, e noi continueremo ad amministrare il club in questo modo. Io penso che sia veramente difficile per la gran parte dei club in Europa, visto che pochi stanno spendendo folli somme di danaro e questo non è connesso a quanto ricavano dalle sponsorizzazioni, dal merchandising e cose del genere. Io penso che questo lasci l’amaro in bocca a molta gente”.
E secondo lei, senza l’esistenza di queste regole, il vostro piano sarebbe stato ugualmente quello di investire per costruire prima la struttura del club, piuttosto che creare subito un prodotto vincente investendo nella squadra?
“Punto primo, la mia opinione, e l’ho detto per due anni da quando ho preso il controllo del club, è che qualunque cosa noi volessimo fare per diventare un brand globale come squadra sportiva dipende al 100% dall’avere una buona -o meglio grande- squadra in campo. 100%. Perciò l’obiettivo prioritario quando ho preso il controllo del club è stato quello di analizzare a che punto eravamo dal punto di vista dei giocatori con il direttore sportivo, che è l’architetto di questo settore, discutendo il budget, le necessità, chi vendere e ogni altra cosa a riguardo. Abbiamo avuto lunghe e belle conversazioni su questo e noi sapevamo di aver costruito una bella squadra. Altrimenti tutte le altre cose sono inutili. Puoi discutere per intere giornate dicendo : “vogliamo diventare un brand globale”, “vogliamo che la Roma lo diventi”; ma tutto questo non ha senso se non costruisci una grande squadra. Il lato del business non può essere il primo. Il lato del business deve anzitutto rendere la situazione finanziaria stabile e portarla in profitto, cosa che abbiamo fatto, ma tutto questo deve correre parallelo allo sviluppo della squadra. Avere una buona squadra ci permette ora di avere relazioni con sponsor importanti o fare tournè, anche in Asia. Tutte cose che non avremmo potuto avere se non avessimo avuto una buona squadra”.
Com’è stata la reazione dei tifosi al suo ingresso in società come proprietario, un investitore straniero è una fatto ancora piuttosto nuovo per il calcio italiano rispetto a quanto accade in Inghilterra e in un altro paio di leghe. Ha dovuto adeguarsi alla differente cultura e gli altri hanno dovuto adeguarsi a lei?
“Io non penso che abbiamo dovuto adattarci, così tanto alla cultura italiana, perchè nonostante io sia cresciuto a Boston la mia famiglia è al 100% italiana e io sono cresciuto in un quartiere pieno di italiani. Perciò credo di capire la cultura italiana”.
Questo fatto l’ha aiutata?
“Certo, assolutamente. Non c’è dubbio. Io capisco la cultura italiana e i mie genitori erano soliti andare in Italia ogni anno o due, così come le mie sorelle; io purtroppo non così tanto per via del mio lavoro, ma ho potuto conoscere la cultura italiana. L’unica cosa che mi ha sorpreso – ed è stata una sorpresa davvero piacevole – è il livello di passione dei tifosi. A volte è un fatto buono altre volte un pò meno, ma la cosa bella è che se tu sei onesto con loro e stai provando a mettere sul campo una buona squadra loro saranno lì al tuo fianco tutto il tempo. Ed è questo quello che sta succedendo. Quando sono andato a Roma la prima volta con il primo proprietario che stava amministrando il club nel primo anno, con tutte quello che stavano accadendo, da tifoso sarei stato scettico anche io. Il mio obiettivo è quello di vincere scudetti e anche la Champions League. Questo vuol dire essere competitivi . Non mi piacerebbe essere coinvolto se non sapessi che diventeremo un club vincente e che avremo squadre vincenti. Questo è il primo e il più importante aspetto ed è quello che rende orgogliosi. Fare tanti soldi attraverso questa squadra non cambierebbe assolutamente la mia vita. Io sono fortunato e ho una vita meravigliosa – che non ho bisogno cambiare. Perciò non è questo l’obiettivo. Il vero obiettivo è tornare al Circo Massimo di nuovo – non per me io non l’ho mai fatto, ma per i tifosi- e vedere un milione e mezzo di persone li come l’ultima volta che la Roma ha vinto lo scudetto, festeggiando per mesi perchè erano orgogliosi della loro squadra”.
Forse la parte più importante del futuro del club risiede nel suo lavoro per la costruzione del nuovo stadio della Roma
“Io penso che abbiamo fatto, grazie alle conoscenze sugli stadi di Mark Pannes, ci ha permesso di fare molti passi avanti. Due anni e mezzo fa abbiamo ingaggiato Cushman e Wakefield e abbiamo detto “troviamo un posto”. Abbiamo aspettato di ottenere le approvazioni e trovato il posto, non abbiamo disegnato progetti prima di trovare il posto. Abbiamo analizzato 100 luoghi arrivando prima a 12, poi a tre ed infine ad uno. Noi sapevamo che avremmo dovuto costruire le infrastrutture ma avevamo l’ippodromo li, 15 minuti dall’aeroporto, 15 minuti dal centro di Roma. Insomma un luogo spettacolare. E così abbiamo cominciato, realmente, poi – probabilmente 18-20 mesi fa, forse anche di più- abbiamo designato quel posto e iniziato a parlare con delle persone: politici, consulenti sul traffico, DLA Piper è stato il nostro consulente legale -i migliori nel campo-, Greg Carey e Goldman per il finanziamento delle infrastrutture. Tutte cose, che abbiamo fatto in di 18 mesi o poco più. AEG è nostro partner -io penso tra i migliori se non il migliore nel “facility management”. Abbiamo lavorato su questo per due anni perciò quando lo abbiamo presentato in primavera, nel palazzo del sindaco a qualche centinaio di persone eravamo molto ben preparati su quello che bisogna fare. Noi pensavamo fosse meglio per noi che venisse finanziato da privati. Perciò niente soldi del governo -infatti noi dovemmo spendere come gruppo centinaia di milioni di dollari in infrastrutture, migliorando le ferrovie, i ponti, il traffico, le strade, e tante altre cose come queste. Noi stiamo investendo tantissimi soldi su questo. E’ un bellissimo luogo, sul fiume dentro al raccordo anulare servito da due linee ferroviarie. E’ molto importante per noi portare la Roma a questo punto. Perche’ questo diventerà uno stadio multifunzionale. Ospiterà anche altri eventi come concerti, festival e magari anche partite dell’NFL. Creerà probabilmente 3/4000 posti di lavoro durante i lavori di costruzione; io non so quanti posti di lavoro saranno creati per gestirlo ogni giorno e nei giorni dell’evento. E’ importante non solo per la squadra, ma chiaramente molto molto importante anche per la città e per il paese. Perchè apre le porte ed è come se dicesse “siamo aperti al business”.
E’ il momento giusto per una cosa del genere. Suppongo
“Penso di si. Credo che quello che stiamo facendo noi ed anche Etihad con Alitalia (all’aeroporto di Roma ndr) è molto importante e io penso che questi soldi potrebbero raddoppiare la capacità e portare realmente l’aeroporto nell’era moderna dove potrebbe diventare uno dei primi aeroporti d’Europa e forse del mondo e questo è molto importante. Anche in questo caso, non solo per Roma e per quello che rappresenta ma per tutta Italia”.
Qual è il potenziale di questo progetto finanziariamente parlando? Cosa può fare per Roma? Dove porterà il club?
“Noi non abbiamo fatto proiezioni ancora ma dovrebbe diventare potenzialmente uno dei club più ricchi -certamente i nostri introiti cresceranno tremendamente con lo stadio. Ci sono tanti fattori ausiliari: hai lo stadio, hai le strutture, hai gli studi TV, quelli della radio, le cucine e tutte cose come queste. C’è la possibilità di organizzare un festival del cibo e del vino lì. L’Italia è famosa per questo. Se una casa farmaceutica, come Procter and Gamble o altre, volesse organizzare tre giorni di fuori sede quelle strutture che stiamo costruendo attorno allo stadio sarebbero perfette per loro”.
La Lega ha annunciato che quest’anno la Supercoppa sarà giocata a Doha. Come Roma voi state facendo molte cose negli Stati Uniti con i tuor estivi e altre iniziative. Sono gli Stati Uniti il vostro primo mercato internazionale o state cogliendo le opportunità a seconda di come vengono?
“Ci vedrete fare uno show televisivo in Cina il prossimo anno. Voi vedrete che in tutta l’Asia stiamo investendo grosse risorse nei social e digital media. Nel Medio Oriente sappiamo di aver sempre avuto tanti tifosi. Sappiamo di averne in Asia, in Indonesia, in Vietnam. Lo stesso in Cina. Perciò l’Asia è importante, il Medio Oriente è importante, gli Stati Uniti sono importanti e cruciali per noi. Nel resto d’Europa noi abbiamo qualcosa sparso qui e li, ma voi sapete che quando hai la tua squadra, hai la tua squadra… Comunque noi abbiamo pianificato di diventare importanti anche in Europa e Canada. In più vi dico che non so come siamo messi sui mercati sudamericani. Abbiamo avuto diversi giocatori che provenivano da lì ma non so quanto i media li parlino del calcio europeo considerato che hanno già tante squadre brasiliane forti. In Africa, io penso che se ci fossero più satelliti e servizi e smartphone e altre cose, si potrebbero avere opportunità significative e in più ci sono tanti grandi giocatori che vengono da lì”.
Sul piano internazionale la Serie A ha deve recuperare qualcosa sulla Premier League e sulla Liga, pensa serva un approccio più collegiale con gli altri club per raggiungerle?
“Io penso che vedremo la Serie A chiudere un contratto televisivo migliore quest’anno, non solo per gli USA ma anche per il resto del mondo. Vedremo come lo streaming e altri diritti cosa porteranno. Ma la Roma ha spinto e spinto e spinto su questo. Uno dei nostri ragazzi a Roma ha la missione di parlare con gli altri team e spiegare nel dettaglio cosa dovremmo prendere -perchè noi dovremmo prendere sostanzialmente di più di quello che raccogliamo ora. Basandosi solo sui livelli di ascolto in confronto con la PL dovremmo prendere di più”.
Quanto lontano può andare la Roma come club e quanto ci vorrà per arrivare al primo posto?
“Sa, arrivare lì è una cosa, restarci stabilmente è la cosa più importante una volta che sei arrivato. Io ritengo che noi possiamo diventare uno dei primi 5 brand sportivi e club del mondo. Potremo mai arrivare al numero 1? Questa è la nostra aspirazione. Quello che torno a ripetere è che se noi facciamo un bel lavoro sull’aspetto del management e costruiamo una grande squadra, avremo di più rispetto al 99% delle altre squadre perchè noi abbiamo Roma. Una delle città più belle e apprezzate. La storia di Roma, e tutto il resto. Quando voi siete a Londra quante squadre di Londra ci sono in Premie League? Tante. Nessuna però si chiama Londra. C’è il Barcellona certamente, ma il Bayern Monaco è differente; il PSG è chiamato dalla gente PSG che non è esattamente la stessa cosa… Guarda noi abbiamo una tonnellata di lavoro da fare. E’ dura trovare un’analogia nel calcio per spiegare dove siamo, così userò il baseball. E’ come se fossimo al primo inning. Abbiamo una lunga, lunga strada da fare. Io penso che costruire lo stadio ci porterà ad un nuovo livello e poi anno per anno cercheremo di costruire ancora su quello che già sarà stato fatto. Io non ho un giorno, si dice “Noi dobbiamo stare qui”. Io so solo che se faremo quel che possiamo fare, non c’è motivo per cui non si possa arrivare ad essere una delle squadre top del mondo”.
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