Italo Allodi lo portò all’Inter perché lo vide fermare in un’amichevole fra Venezia e Santos Pelè. Helenio Herrera se ne innamorò e lo volle con sé quando andò alla Roma e una volta gli fece giocare il derby contro la Lazio cinque giorni dopo un’operazione (“Basta la tua presenza”), eppure anche tutto questo non dà il senso di cos’è stato Sergio Santarini per la Roma: eleganza, sicurezza, serietà, affidabilità, grazia, appartenenza, rassicurazione, intelligenza.
E’ stato novità, perché è stato il primo difensore centrale nella storia del nostro campionato a fare calcio, a proporsi, avanzare, inserirsi, suggerire, ed è stato esperienza perché ce l’aveva naturalmente, di quei giovani-vecchi che hanno un passo diverso in campo e fuori già da ragazzini (quando fermano Pelè) e perché alla Roma c’è rimasto tredici stagioni. Sergio Santarini è un pezzo di Roma. Capitano.
L’ha presa da Losi, c’era Herrera, l’ha portata a Falcao, tre decenni, tre Coppe Italia, dalla Roma dei 60 alla Roma di Viola. L’immagine di Santarini, per tutti quelli che all’epoca erano ragazzini, è quella col giaccone della pouchain mentre fa il giro di campo all’Olimpico dopo la vittoria in Coppa Italia col Torino, il 17 maggio 1980. Ci sarà anche un anno e un mese dopo, il 17 giugno 1981, per un’altra coppa, sempre contro il Torino, ma al Comunale, per segnare come la stagione prima un rigore.
Da Losi a Falcao quanta Roma c’è in mezzo? C’è Sergio Santarini. Liedholm per “colpa” sua s’inventò la zona, per “colpa” di Santarini nacque la Roma più colta e tatticamente aristocratica della nostra storia. C’erano lui e Turone, due liberi, nessuno voleva fare lo stopper e allora Santarini andò dal Barone a proporgli la zona. “Ma voi ne siete capaci?” chiese Liedholm. Santarini rispose “sì”, e “allora giochiamo a zona” sentenziò il Barone, col suo garbo, la sua leggerezza, la sua intelligenza. Santarini ha avuto tutte queste doti, e anche per questo quando la Roma vincerà lo scudetto più bello possibile l’8 maggio dell’83 a Genova, Falcao lo ricorderà per primo ringraziandolo per aver fatto parte di una squadra che era nata con lui.
Quell’11 maggio ad Avellino segnò il suo ultimo gol con la Roma, niente di epico perché di gol ne fece pochi, né quella partita al Partenio significava molto. Ma serve per parlare di Sergio Santarini, uno che ha attraversato il cuore della nostra storia, lottando sempre e rimanendo incredibilmente pulito e bianco come la seconda maglia della Roma con cui viene più facile ricordarlo.
Fonte: Asroma.it
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