Il
27 marzo 2010 è un punto sulla storia della
Roma. Un punto esclamativo, come la silhouette di
Luca Toni, come l’urlo di tutto lo stadio al suo gol della vittoria 2-1 contro l’Inter di
Mourinho. Un punto, era dove eravamo finiti: a un punto da loro, un punto dallo scudetto, un punto dal sogno. Erano stati primissimi, fino ad averne 14 di vantaggio, di punti, erano stati campioni e avrebbero fatto triplete ma quel sabato pomeriggio il punto era un altro: era la Roma, era quello stadio, era un sogno. C’erano quasi settantamila persone come ai tempi belli, quelli che la
Sud più che Pinelli immortalò. Quel 27 marzo 2010 i fotogrammi sono tre, un triplete di ricordi: il vantaggio di
Daniele De Rossi al 16′, il tempo della sua maglia in scivolata e poi l’urlo col cuore sulle tonsille e le labbra a baciare un’immagine sacra sui parastinchi; poi il flash in fuorigioco del pareggio di
Milito, un fuorigioco nettissimo, clamoroso, non fischiato, che resta impresso per ricordare pure quell’ingiustizia durata 7′. Perché poi al 72′ dopo un tiro svirgolato di Taddei,
Luca Toni ci mise il punto. Sotto la Sud. Non c’è niente di più esclamativo. E’ uno dei boati più grandi che si ricordi, un rumore sordo come il palo dell’Inter alla fine, come a dirci non solo che stavolta è andato tutto bene ma che stavolta andrà tutto bene. Almeno quel pomeriggio sembrava così. Ed era così, punto e basta.