Queste le parole di Mia Hamm, leggenda del soccer femminile e da poco entrata nel CdA della Roma, ospite quest’oggi del programma Slideshow:
Da piccola.
“Questo è il mio primo o secondo anno in cui giocavo. Come si può vedere, non c’era molta erba sul campo. Ricordo la voglia di stare all’aperto e di giocare. Ogni occasione era buona per correre e tirare calci alla palla. A quell’età non ti preoccupi di nulla, ti diverti a giocare e basta”.
A 8 anni.
“Era la prima volta che il nostro nome compariva sulla maglia. Indossavo sempre il 5, in questo caso non era disponibile e presi il 25. Sono sicura di aver superato senza problemi il ragazzino che avevo di fronte”.
I primi trofei.
“A 14 anni, la mia prima occasione di giocare a livello superiore. Poi all’Università del North Carolina, lì mi sono formata come calciatrice. Ho imparato moltissimo dai miei allenatori. Hanno impiantato una tradizione incentrata sulla preparazione, fissando standard molto alti nel lavoro quotidiano e trasmettendo un messaggio che è un investimento che merita”.
Il campo di allenamento all’Università del North Carolina.
“Andavo spessissimo su questo campo ad allenarmi da sola, prendevo una sacca coi palloni ed escogitavo qualcosa di nuovo per migliorare. Alcune delle cose che facevo vi sorprenderanno, perfezionavo nuovi dribbling cercando sempre di concludere. Non so se ho colpito bene questa palla, ma la postura sembra bilanciata e la coordinazione niente male”.
Con la nazionale.
“Ero molto introspettiva durante l’inno, molto grata per l’opportunità che mi veniva concessa. Ma al tempo stesso ero in trepidazione per l’attesa, sapevi che al fischio sarebbe iniziata la partita. Si intravede Tiffany Roberts, lei incarnava lo spirito della giocatrice di squadra, faceva quello che le veniva richiesto, annullava in marcatura la migliore giocatrice avversaria”.
Verso il Mondiale 1991.
“Mi sento orgogliosa di far parte di quella squadra, l’inizio di un’esperienza straordinaria. Sebbene fossi una delle titolari, non avevo molte pressioni e potevo concentrarmi sul mio gioco. Michelle Akers, la numero 10, oltre a essere la migliore con cui ho giocato, aveva molte più responsabilità. Questa squadra aveva gettato le basi per il futuro, molte di quelle giocatrici hanno formato la spina dorsale della nostra nazionale”.
In porta.
“Nel 1995 dovetti difendere la porta negli ultimi minuti contro la Danimarca, avevamo finito i cambi. Ricordo che andai in porta e dovetti fronteggiare una punizione dal limite. Le danesi avevano una ragazza dotata di un tiro molto potente, mi sentivo così piccola tra i pali, per fortuna feci 3-4 parate. Qui sto cercando di lanciare la palla il più lontano possibile”.
Le Olimpiadi 1996, finale contro la Cina.
“Era una sfida molto impegnativa, calciatrici molto tecniche, velocissime e disciplinate. Sapevi dall’inizio che dovevi dare il massimo per cercare di vincere. Qui sto cercando di superare un difensore, ho un’espressione curiosa e molto intensa, l’intensità è sempre stata una mia prerogativa”.
L’oro olimpico.
“Questa è gioia allo stato puro. Come americane, siamo cresciute con il mito delle Olimpiadi, con il sogno di rappresentare il nostro paese e vincere una medaglia d’oro. Arrivi lì e ascolti l’inno solo se vinci. Ricordo che su quel podio eravamo 16 calciatrice, tutte amiche. In quel momento realizzi che tutto l’impegno è stato ripagato col raggiungimento del tuo sogno. Riuscire a vincere le Olimpiadi di casa è stato un sogno per tutte noi”.
Un test sugli sprint.
“C’è il nostro preparatore Steve, prendeva i tempi. Forse potevo essere più rilassata, per ottenere un tempo migliore. Ricordo che cercavamo di sfruttare tutti i mezzi per raggiungere gli obiettivi. Forza e velocità non erano solo monitorate, ma ci si assicurava che fossero utilizzate nel modo giusto. Valutavamo le prestazioni in base ai carichi di lavoro”.
Finale del Mondiale 1999, i rigori.
“Quanta gente sugli spalti! 90000 spettatori con gli occhi puntati. Dopo 120 minuti di gioco la gente era ancora lì, facevano 40 gradi. Ero nervosa al momento della battuta, non avevo calciato bene in allenamento per tutto il Mondiale, non mi sentivo sicura ma l’allenatore in seconda e mi disse che avevamo bisogno che uno lo calciassi io. Ero concentrata nel colpire la palla ed è quello che ho fatto, il loro portiere non si è mosso. Di quella serie finale ricordo che furono trasformati nove rigori su dieci, abbastanza insolito”.
Il Mondiale.
“La migliore sensazione del mondo, ho avuto la fortuna di vincerlo due volte. Questo è il nuovo trofeo, quello del 1999. Sollevarlo ha significato tantissimo per me, volevamo assicurare la crescita del calcio femminile negli USA. Il grande impegno profuso dalle calciatrici e dal comitato organizzatore che aveva proclamato alla FIFA che sarebbe stato l’evento femminile più grande di sempre è stato motivo di grande orgoglio”.
Il premio FIFA World Player of the Year vinto con Ronaldo.
“I due numeri 9. Io e Ronaldo, il riconoscimento da parte della FIFA del calcio femminile è stato bello. Incontrare i calciatori visti in TV e portare il calcio femminile su quello stesso palco è stato straordinariamente importante”.
Le Olimpiadi di Atene 2004.
“L’ultimo grande torneo a cui ho preso parte. Un mix di emozioni, la squadra era una combinazione di elementi esperti e della nuova guardia. Vedo ragazze che fanno ancora parte della squadra attuale, avevamo a cuore che la squadra mantenesse standard elevati anche in chiave futura. Il modo ideale per chiudere la carriera, farlo al vertice con un gruppo di calciatrici con cui sono cresciuta”.
Ospite da Jay Leno.
“Essere lì con le proprie amiche e godersi l’esperienza è stato incredibile. Sono seduta in terza posizione, intenta ad ascoltare quello che le mie compagne avevano da dire. La nostra presenza testimoniava il successo del calcio femminile e ha significato molto per noi”.
L’ultima partita.
“Poterla condividere con mio marito, la sua famiglia e i miei genitori ha significato moltissimo. Nel corso della mia carriera, come per chiunque prosegua nell’eccellenza, ho dovuto trascurare gli affetti e fare rinunce per concentrarmi sul mio obiettivo, dovevo investire su me stessa ogni minuto di ogni singolo giorno. Sapere di poter contare sul loro sostegno e sull’amore della famiglia ti conforta. La presenza di mio nipote che indossa la mia maglia rende tutto ancora più speciale. Mio fratello è scomparso nel 1997, è una parte speciale della nostra famiglia. In lui rivedo moltissimo il mio fratello Garrett, il fatto che sia presente è speciale”.
Il marito.
“Come ho già detto, lui mi ha sostenuto tantissimo, ha reso facile anche il mio ritiro dal calcio. Sapevo che era il momento giusto, volevamo mettere su famiglia e grazie a lui non mi sono mai sentita di fronte a una scelta. Mi ha sempre sostenuto e lo fa ancora, non potrei fare tutto questo senza il suo amore. Lui e i miei figli sono il mio mondo, tutto quello che faccio è per onorare loro e renderli orglgliosi”.
Le figlie.
“Quella alla mia sinistra è la piccola Grace, prima di tutto loro sono autentici miracoli, ogni giorno ci mostrano il vero significato dell’amore, le nostre vite sono molto più belle, non c’è dubbio”.
Il fratello e il nipote.
“L’ultima volta in cui è stato discretamente bene, durante Atlanta 1996. Condividere con lui quell’esperienza è un ricordo indelebile. Lui mi ha insegnato molto sul garbo, l’umiltà e l’umorismo, anche nei momenti più difficili. Senza il suo sostegno non sarei stata l’atleta che sono diventata, da bambina era il mio idolo, era bravissimo in tutti gli sport che praticava. Avere la possibilità di giocare con tuo fratello maggiore ha significato molto. Sono grata per tutto il tempo che ho trascorso con lui e per le lezioni che mi ha insegnato”.
In Sudafrica.
“Ero con Charlize Theron, per costruire campi di calcio. Lei è stata bravissima, è sudafricana e il legame col suo paese è molto forte. Vederla interagire con la popolazione locale è stato molto forte. Poter condividere il mio amore per lo sport con i bambini mi ha segnato profondamente”.
Il suo nome scritto sulla guancia di una bambina.
“Quando giochi sei concentrata su quello che fai, la cosa più bella delle giocatrici con cui ho giocato è che capivano perfettamente l’influenza che avevamo sulle bambine. Ora che sono mamma e so che i figli ti guardano come un modello, cerco di agire affinché ciò che faccio e dico abbia un impatto positivo”.
Il Golden Foot.
“Una foto recente, a Montecarlo. Francesco c’era già stato, ero onorata di far parte di quel gruppo. Non solo di essere la prima americana, ma la prima donna a lasciare l’impronta del proprio piede sulla promenade. Amo questo sport, camminare e leggere i nomi delle leggende e sapere che il mio nome compare tra quello dei più grandi è fantastico. Francesco è ancora in attivita, è incredibile quello che significa per la sua città, il suo club e la nazione. Li ha rappresentati con classe, sono onorata che il mio nome sia accanto al suo”.
James Pallotta.
“Il grande Jim. È davvero straordinario quello che mr. Pallotta sta facendo con la Roma. Più gli sei intorno e meglio capisci che non vuole essere secondo a nessuno, vuole che questo club sia il migliore del mondo e lo fa nel rispetto della sua storia. Si vedono già i risultati”.
La sua esperienza alla Roma.
“Sono molto orgogliosa di essere parte del CdA e di poter contribuire a plasmare la AS Roma al meglio delle mie capacità, condividendo le mie esperienze e conoscenze e la mia passione per il calcio, con l’obiettivo di fare della Roma il club più importante del mondo”.
Fonte: roma tv
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