La Roma di Garcia scrive contro la Fiorentina la pagina più nera dell’avventura del tecnico francese sulla panchina giallorossa. 0-2 all’Olimpico, dove la vittoria manca dal 30 novembre. Due gol subiti da Mario Gomez, tre reti del tedesco contando lo scontro di campionato. Un attaccante che un mese fa non segnava neanche a porta vuota. Una k.o. che ovviamente ha radici molto più profonde, con segnali arrivati chiari e netti da metà dicembre ad oggi. Le assenze di Gervinho e Keita e gli infortuni di Strootman e Iturbe (due che stavano entrando in forma) hanno solo acuito le lacune di una squadra che a metà stagione ha già finito le energie fisiche e mentali.
Venti minuti risicati – Una caduta così non ha una sola giustificazione, la Fiorentina è solo la goccia che fa traboccare e cadere un vaso sempre più difficile da ricomporre. Garcia ha scelte obbligate: dentro Manolas e Florenzi squalificati nel prossimo impegno di campionato a Cagliari. Cole fa rifiatare Holebas mentre Paredes è chiamato a dare la qualità mancata a Pjanic nelle ultime uscite. A Montella basta mettere in campo una squadra ordinata e capace di pressare un minimo alto per mandare in crisi fin dal primo minuto la Roma.
I 15 minuti di ossigeno e lucidità la Roma se li gioca tutti all’inizio: Nainggolan predica nel deserto, Ljajic non tira mai in porta come se subisse una multa ad ogni tiro, Florenzi liberato dal belga dimostra di non avere qualità da finalizzatore e davanti a Tatarusanu mette al lato d’esterno. Al 17′ è Cole ha far partire un contropiede splendidamente rifinito da Totti, ma Savic in scivolata chiude sul tiro (!) di Ljajic. L’ultimo anelito di fase offensiva arriva dall’unica discesa di Maicon al 29′: cross respinto al limite, botta di Nainggolan e riflesso di Tatarusanu che devia in angolo. Fine della Roma.
Disfatta – La Fiorentina nasconde il pallone alla Roma con un possesso palla quasi rilassato. Nainggolan, Keita e Paredes (poi Pjanic) girano a vuoto arrivando costantemente secondi nei contrasti. Nel calcio se la palla non la becchi mai non puoi vincere. E se quando ce l’hai, la butti perché non c’è un movimento che sia uno, allora c’è un problema fisico di base grosso come una casa. Il preparatore atletico nuovo lo ha portato Garcia (il signor Paolo Rongoni, cacciato a gennaio 2014 dalla Lazio insieme a Petkovic). La staticità eleva a potenza le lacune tecniche: senza Iturbe e Gervinho, la Roma non attacca la porta avversaria, la cosiddetta “profondità”. Dà sempre il tempo agli avversari di chiudersi e poi non sempre riescono tre dribbling e giocate personali alla Ljajic. Non esistono schemi su palla da fermo, fondamentale da cui nel calcio moderno nascono più del 30% delle reti. Non esistono inserimenti dei centrocampisti e ciò dipende da: a) caratteristiche dei giocatori; b) mancanza di condizione per fare lo scatto in più; c) pianificazione tattica dell’inserimento. Quarto problema acuito stasera, la sopravvalutazione di elementi decisivi lo scorso anno o di alcuni acquisti come De Sanctis, Maicon, De Rossi, Pjanic, Ljajic nel primo caso; Cole e Astori nel secondo.
Nonostante gli incoraggiamenti instancabili della Curva Sud, la squadra non reagisce neanche a livello nervoso al primo gol di Gomez al 20′ della ripresa. Pjanic, Ibarbo e Verde prendono i posti di Paredes (discreta prova), Totti e Maicon. L’unico sussulto arriva per un fallo di Savic su Ibarbo al limite dell’area, ma Damato si guarda bene dal fischiarlo. Il colombiano sarebbe stato praticamente davanti a Tatarusanu. Per la serie, la legge di Murphy non molla la Roma. Se qualcosa va male, il resto non potranno che andare peggio. Garcia si appella al carattere, al cuore e alla qualità dei suoi uomini, ribadendo la fiducia in loro. A Cagliari, in emergenza di formazione, servirà un’impresa. Molto più che una rinascita. Il fondo del barile potrebbe non essere stato ancora scavato del tutto. Il “bel tempo” invocato in conferenza stampa da Garcia rischia di non arrivare fino a giugno.
A cura di Daniele Luciani
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