Pubblichiamo in maniera integrale il pezzo a firma di Giancarlo Dotto pubblicato su dagospia.com. A voi eventuali commenti.
Era un sabato pomeriggio a Napoli, ma era ancora quel martedì sera all’Olimpico. Robben e compagni sono ancora lì, non se ne sono mai andati, come una gigantesca scimmia sulle spalle dei romanisti che si scoprono improvvisamente decrepiti, Dorian Gray in mutande, e non hanno più gambe, non hanno più testa e il cuore lo cercano sul prato ma non lo trovano più. Impressionante caduta collettiva di una squadra che fino a quel martedì sera autorizzava qualunque sballo onirico.
Avendo perso l’idea di essere grandi, non sapendo più dov’è la casa, si rifugiano spauriti nel buio del più inutile possesso palla. Trattengono la palla, perché hanno perso l’identità. Chiunque oggi è stato il migliore nel dare il peggio di sé. Chiunque, eccetto Naingoolan. Pjanic e Totti non possono giocare insieme in una squadra così depressa. Il sussiego di un calciatore slow anni ’60 combinato all’anagrafe che ogni tanto bussa feroce.Il resto, una pena. De Sanctis ha perso sicurezza. Torosidis e Mapou hanno balbettato calcio da oratorio. Florenzi, puro istinto, ha sbagliato ogni scelta. Iturbe non sa più chi è. Destro se non ha squadra che lo sostiene non è. Gervinho prova a giocare da Dio, ma scopre di non essere Dio.
A quattro giorni dal ritorno di Monaco, ritorno di un incubo che non se n’è mai andato, Rudi Garcia si trova davanti al suo primo vero, grande enigma da allenatore della Roma. Che cosa succede a questa squadra? Come riavviare il motore della fiducia, l’illusione della grandezza?
Bisturi ci vuole e nessuna delicatezza, nessuna concessione alla piazza. Gente come Maicon, Strootman e Castan manca disperatamente. Questa Roma non vincerà nessuno scudetto. Farà fatica a prendersi anche un posto in Champions.