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AS ROMA Perrotta: “Orgoglioso di aver vestito la maglia della Roma, niente è paragonabile”

Simone Perrotta

L’ex centrocampista della Roma Simone Perrotta è stato ospite della società giallorossa a Trigoria ed è stato protagonista dell’intervista fotografica dedicata ai grandi giocatori che vestono o hanno vestito la maglia romanista. Queste le sue parole:

Una statua che lo ritrae.

“E’ una cosa che non mi sarei mai aspettato, l’hanno fatta in Inghilterra nel paese dove sono nato ma dove non sono mai stato né tornato. E’ lì da quattro anni ma non l’ho mai vista, non ci sono mai andato”.

La prima figurina Panini.

“La prima volta che mi sono visto sull’album dei calciatori mi sono accorto che ero arrivato ad essere quello che volevo. Non era facile però stare a Reggio Calabria, a tanti chilometri dai miei genitori. Devo ringraziare i miei genitori e la forza che mi hanno dato nel rimanere lì. Senza quella esperienza e i loro sacrifici non sarei mai diventato calciatore. Sarò sempre grato alla Reggina e alla città”.

La maglia della Juventus.

“Dopo la Reggina, ho avuto questa grandissima esperienza nella Juventus. Mi ricordo ancora il presidente Foti che mi parlò del loro interessamento, oltre a quello dell’Inter. Foti mi invitò a casa sua e mi chiese per quale squadra facessi il tifo. Gli risposi che simpatizzavo per il Napoli perché ero cresciuto con le giocate di Maradona. Foti mi tirò la maglia della Juventus. Ero felice e spaventato. Avrei lasciato il mio “ovile” dove ero cresciuto, per andare in una società completamente diversa, di vertice, in cui l’unico obiettivo era vincere. Realizzavo il sogno di mio padre che è un grande tifoso della Juventus”.

Il Bari.

“Rispetto alla Juventus, qui ero molto di più dentro alla situazione. A Torino ero un giovane e facevo anche il servizio militare, quindi pochi giorni a settimana mi allenavo con il gruppo”.

Il Chievo Verona.

“La mia esplosione calcistica. Giocando al fianco di Corini ci capivamo e integravamo al 100%. Lui impostava il gioco, mentre io ero più portato alla fase offensiva, all’inserimento. Sono stati tre anni meravigliosi”.

Delneri.

“E’ stato l’allenatore che mi ha dato più fiducia, devo a lui la mia carriera. E’ stato un allenatore innovatore, ha portato un calcio diverso ed ha raccolto meno di quanto meritava in carriera”.

L’arrivo a Roma con Matteo Ferrari.

“A Roma ho capito che ero in un mondo totalmente differente. Una grande squadra, una grande piazza, un’enorme tifoseria. Questa pressione all’inizio mi ha complicato la vita. Provenivo da ambienti totalmente diverso, forse non ero pronto. Il primo anno non è andata bene, al di là delle prestazioni personali. La squadra veniva dal secondo posto ed era stata rinnovata. Noi siamo arrivati e nell’idea dei tifosi dovevamo sostituire chi era andata via. Io avrei dovuto sostituire Emerson, ma aveva esperienza e caratteristiche totalmente diverse. Questo ha portato tante critiche”.

Samp-Roma: la prima di Totti centravanti e il 4-2-3-1.

“E’ stata la partita della svolta, eravamo senza mezza rosa. Spalletti la mattina della partita mi si avvicinò e mi disse: “Stasera giochi dietro a Francesco. Lui centravanti e tu al posto suo sulla trequarti”. Lì per lì ero allibito, ma come sempre mi è accaduto ho accettato con entusiasmo il cambio di modulo. Spalletti ebbe un colpo di genio ed iniziò una cavalcata esaltante negli anni seguenti”.

Spalletti e De Rossi.

“Con il cambio di modulo la squadra è decollata e insieme a noi la carriera del mister. In quel gruppo si era creata un’empatia totale, degna di un grande gruppo”.

Taddei.

“Il giocatore che tutti vorrebbero avere, ma soprattutto un ragazzo dal cuore grande. Ci siamo levati tante soddisfazioni nella Roma, vincendo tante partite. Mi piace ricordarlo con grande affetto”.

De Rossi.

“Un amico vero. Per lui le sofferenze sportive con la Roma diventano una sofferenza fisica, che va al di là del rammarico da atleta. Ha vissuto lo stadio, la Curva Sud. Poi ha trasferito questo suo essere tifoso sul campo. Nei primi anni questa cosa gli ha procurato un po’ di problemi. Col tempo è riuscito a mediare questa sua condizione però è un giocatore e un ragazzo incredibile, una persona di una maturità sopra la media. Professionista innamorato della Roma”.

Andreazzoli.

“Aurelio è una persona che parla chiaro, quando era il secondo di Spalletti non lesinava critiche quando non c’erano i giusti comportamenti. Il mio rammarico è non averlo potuto aiutare quando è stato allenatore della Roma ed io ero giocatore. Non ho mai tratto beneficio dalla nostra amicizia, forse sono l’unico con cui ha litigato mentre ero in campo. Mi ha utilizzato da esempio per gli altri”.

Campione del Mondo con l’Italia.

“La soddisfazione più grande della mia vita calcistica, un sogno da bambino che si realizza. E’ difficile trovare delle parole. Quando eravamo in Germania, tutti i componenti della rosa non ci rendevamo conto di quello che facevamo. Ed è stato un bene non capire cosa stessimo suscitando in Italia. Se l’avessimo percepito, il fisico non c’avrebbe sorretto. Il giorno della finale ero certo di vincere. C’è un aneddoto legato alla finale: qualche giorno prima sono andato a cena con la mia famiglia, mio padre mi disse di non preoccuparmi del risultato e che loro erano orgogliosi di me. Non dovevo pensare alla vittoria ma solo di dare tutto. “Se la vinci però è meglio” ha detto e così non mi ha rasserenato. Sono felice di aver raggiunto quel traguardo”.

I calci di rigore della finale.

“Sentimenti contrastanti. Passavo dal piangere al ridere in pochi secondi. Ora che ho smesso di giocare, riesco a godermi i successi che ho ottenuto. Aver vinto il Mondiale andava oltre qualsiasi immaginazione”.

Totti-De Rossi-Perrotta con la Coppa del Mondo.

“Un vanto per la tifoseria della Roma. Aver avuto tre giocatori campioni credo sia stata una grande soddisfazione per i tifosi della Roma. Abbiamo portato in Nazionale il modo di intendere il calcio dei tifosi romanisti vivendo a pieno la passione che trasmettono alla squadra. Francesco ha calciato il rigore con l’Australia mentre tanti compagni voltavano le spalle e si tiravano indietro”.

La Coppa Italia vinta a Milano contro l’Inter.

“Ce la siamo vista molto brutta. Avevamo vinto 6-2 all’andata e doveva essere una passeggiata. Onestamente non eravamo maturi per giocare alla pari con quell’Inter che aveva vinto lo Scudetto con tanti punti di vantaggio. Nella gara di ritorno la differenza mentale si era avvertita. In quelle stagioni, come abbiamo dimostrato, potevamo battere chiunque nella partita singola ma alla lunga perdevamo punti per strada. Il mio gol del 2-1 è stata una liberazione, se non ci fossero state le recinzioni di San Siro sarei saltato tra i tifosi. La prima Coppa Italia è stata una grande soddisfazione”.

Il Manchester United.

“Cristiano Ronaldo nell’azione del gol che hanno fatto all’andata, il momentaneo 1-1. E’ stato l’avversario più forte che ho mai incontrato. C’è rammarico per quella partita perché loro erano in 10 per l’espulsione di Scholes. La nostra prestazione fu ottima, ma sbagliammo molti gol e riuscimmo a segnare solo con Vucinic il 2-1. Nella gara di ritorno questa differenza si fece sentire. In quella stagione siamo la squadra italiana arrivata più avanti possibile. Se avessimo superato il Manchester, avremmo avuto l’opportunità di vincere la Coppa”.

L’ultima partita del campionato a Catania.

“A fine primo tempo eravamo Campioni d’Italia. A Parma l’Inter riuscì a segnare gli ultimi venti minuti con Ibrahimovic che entrò e fece due gol”.

La seconda Coppa Italia.

“Una magra soddisfazione ad essere sincero. In quella finale feci gol, una gioia contro l’Inter, un successo importante. Poco però di fronte al non aver vinto lo Scudetto in annate in cui si poteva vincere è una piccola sutura su una ferita difficile da rimarginare”.

Il gol nel derby contro la Lazio.

“E’ qualcosa di speciale, rendi felice i tuoi tifosi in maniera enorme. Sembrava semplice far gol a porta vuota ma quella palla dopo il pallonetto a Ballotta non scendeva mai”.

Il Real Madrid battuto al Bernabeu.

“Un’altra partita nella storia. Superammo il Real 2-1 in casa e poi dimostrammo a Madrid di aver raggiunto una consapevolezza importante. Giocammo una partita incredibile nello stadio più bello in cui ho giocato. Vincemmo 1-2 col gol di Rodrigo e con quello di Vucinic dopo il pareggio di Raul. Un momento alto per il calcio italiano”.

Totti.

“Con Francesco c’è stata subito grande sintonia. L’ho conosciuto prima in Nazionale e poi a Roma. E’ una persona generosa, mai egoista. Mette sempre prima i bisogni della squadra e poi i suoi. Ho avuto la fortuna di giocarci vicino e questa sintonia si è trasferita anche fuori dal campo. Per caratteristiche mi sacrificavo per lui, ma per me non è mai stato un sacrificio. Lui ci faceva vincere le partite ed era un piacere fare qualche corsa in più”.

Il maledetto Roma-Sampdoria del 2010.

“La ferita che dicevo prima. Eravamo davanti all’Inter dopo una cavalcata incredibile, era l’ultimo scoglio. Avevamo vinto il derby con una partita incredibile. La Samp sembrava una formalità, facemmo il primo tempo più bello della stagione e vincevamo 1-0. Ci fu tanto nervosismo in quella partita e questo ci portò a perdere quella partita e quello Scudetto che avremmo meritato di vincere e avremmo voluto vincere”.

Luis Enrique.

“A mio avviso è un grande allenatore. Tanti non saranno d’accordo ma per me lo è. Ora lo sta dimostrando a Barcellona. E’ un parere condiviso dagli altri giocatori, costruiva un rapporto basato sulla stima. C’è stato un momento in cui le cose sono cambiate, ma la stima è rimasta intatta. Un po’ estremista in alcune cose, per lui il calcio era solo come lo pensava lui e non riusciva a capire o a gestire i momenti in base alle qualità dei giocatori. Mi è dispiaciuto quando ci ha comunicato che voleva lasciare la squadra, poteva scrivere una pagina importante a Roma”.

Il 26 maggio.

“E’ stata la mia ultima partita, la finale di Coppa Italia. Non doveva finire così, mi dispiace aver lasciato il calcio con quest’ultima partita senza giocarla, senza poter dare il mio apporto alla squadra. E’ andata così ed è stata una mia volontà quella di non continuare a giocare a calcio con una maglia diversa da quella della Roma. Un momento triste, ce lo ricorderemo tutti. Siamo stati sfortunati ma nessuno se ne ricorderà. Le soddisfazioni che la squadra si sta togliendo da un anno e mezzo sono frutto anche di quella delusione, di quel modo di intendere il calcio. Da quella partita in poi anche il modus operandi della società è cambiato. Vanno presi dei giovani di talento ma alla base c’è bisogno di un gruppo storico che faccia capire che l’ambiente Roma è diverso da tutti gli altri, facendo capire il peso e la responsabilità della maglia che si indossa”.

La maglia della Roma.

“Ho avuto l’onore e il privilegio di indossarla. Con i tifosi, non da subito, ma si è creato un rapporto viscerale. Il primo anno è stato negativo, ero uno dei giocatori più contestati però quelle critiche mi hanno aiutato a capire cosa è Roma. Il tifoso romanista quando c’è da dire le cose, le dice in faccia, siano positive o negative. Non so se sono stato sempre all’altezza di portare la maglia della Roma, ma ancora oggi i tifosi si ricordano di me e questo mi rende orgoglioso”.

Fonte: Roma Tv

daniele luciani

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