Questo pomeriggio il terzino della Roma Federico Balzaretti ha parlato in conferenza stampa. Queste le sue dichiarazioni:
“E’ una conferenza che ho voluto fare io. Soprattutto per chiarire un po’ quella che è la mia situazione, fare una cronistoria del percorso, avevo davvero piacere di farlo per mandare un messaggio a chi è a casa. Purtroppo è successo questo problema ormai 10 mesi fa, alla fine di un allenamento dopo la partita col Torino. Un dolore davanti, sul pube: non avendo mai avuto problemi, quindi giocai col Sassuolo ma dopo la partita non avevo quasi più la forza di camminare. Abbiamo trattato questo problema come fosse una pubalgia ma non lo era, può spiegarvelo meglio il dottore. Abbiamo provato in tutti i modi, con la società, con il dottore, andando in America. Ma questa operazione non ha dato i risultati sperati, siamo andati a Monaco ma neanche qui è andata bene e infine abbiamo deciso l’ultimo intervento che serviva soprattutto per sentire meno dolore. Questo problema non mi permette di correre, in palestra riesco a fare qualcosa ma in campo quando provo a calciare, a correre non riesco a reggere i ritmi e l’infiammazione viene fuori in maniera importante. Dopo il ritiro ho visto che il problema era persistente e ho fatto degli esami che hanno evidenziato un peggioramento del problema: purtroppo devo fare ancora dei mesi di terapia. Volevo dire questo: purtroppo ancora non so quanto per quanto dovrò fare terapie, mi sento ancora un calciatore, ce la metterò tutta per tornare. Abbiamo provato più di tutto quello che c’era da fare. Spero di tornare a giocare perché è la cosa che più amo, tutti quelli che mi conoscono sanno quanto ci tengono. Mi sento in parte in colpa coi miei compagni: poter giocare con loro, gioire con loro, soffrire con loro. Voglio ringraziare la società che mi è stata vicino, i dottori: non mi hanno mai fatto mancare niente. La Roma è una grandissima famiglia. Non posso che dire grazie: sto vivendo un momento davvero difficile, anche a livello psicologico. Purtroppo, a differenza di altre patologie, non si sa quando e se andrà via, non si sa se quello che si fa funzionerà. Dentro di me ho tantissima fede, ce la metterò tutta. Il messaggio che volevo dire ai tifosi è che non mollo e non voglio mollare, ce la metterò davvero tutta. Quello che voglio sappiano, però, è che non si sa né quando né se veramente ce la farò”.
Nel tuo cuore, cosa c’è quando vieni a Trigoria?
“C’è la speranza. La risonanza di mercoledì scorso è stata particolarmente traumatica. Dopo tutto questo e con carichi di lavoro particolarmente alti la situazione è peggiorata. Ho tanta speranza, stiamo facendo un’altra terapia e ho speranza che la successiva possa dare i suoi frutti, per continuare il mio sogno di giocare a calcio. Magari non giocherò fino a 38 anni, ma l’obiettivo è quello di dare il massimo per la squadra, per la società, per tutti. Il mio dare tutto non può essere in campo, ma facendo qualsiasi cosa per tornare a giocare. Questo mi tiene vivo”.
Quant’è stato difficile venire qui sapendo di non poter scendere in campo?
“Tanto, quello che manca più di tutto è la quotidianità del campo. Più del giocare la domenica. Giocare la domenica sono scelte dell’allenatore, ma il fatto di non poter condividere in campo scherzi, giochi e partitelle è molto pesante. Sono loro che mi tengono vivo, i compagni che mi aiutano e mi fanno sentire parte di questo gruppo. È logico che non è facile. Non giocando ti senti in parte distaccato, però la cosa che mi tiene vivo è questa, la speranza di poter rientrare e rivivere la gioia di una vittoria, ma da sudato, di avere quella stanchezza che ha accompagnato una carriera che penso da quando ero bambino, che è iniziata a 6 anni. Il fatto di andare a casa sudato, stanco, non dormire dopo la partita per le emozioni mi manca tantissimo”.
È vero che stai pensando a una riduzione dello stipendio?
“Ho parlato con il presidente. Per me la società ha carta bianca, qualsiasi cosa voglia fare non c’è problema. Non è questo il nodo centrale della questione, il nodo centrale sono i sentimenti di una persona. La società mi è sempre stata vicino. Se posso dire una cosa, credo che la società non abbia voluto fare nulla perché è una famiglia e perché vede che ce la sto mettendo tutta per poter guarire. Pesa le persone, non le tratta come calciatori. Questa forse è la differenza per cui molti vogliono venire qui. Credo, al di là del mio ingaggio, che una famiglia si vede proprio nel momento in cui il ragazzo non sta bene. Coccolare un ragazzo che fa 5 gol a partita è facile, far sentire importante un giocatore in un momento difficile è un valore aggiunto. Detto questo, qualsiasi cosa mi chiedano la farò”.
A Colautti: la diagnosi ritardata ha rimesso in discussione la rieducazione del calciatore?
“Parlerei di una patologia estremamente complessa, che ha aspetti multifattoriali che possono concorrere a far sì che questa patologia possa prolungarsi nel tempo. All’inizio è stato intrapreso un trattamento conservativo, e vedendo che non produceva gli effetti sperati abbiamo cercato di verificare se ci fossero aspetti che indirettamente potessero ritardare questa guarigione”.
Nella tua avventura alla Roma hai avuto momenti difficili, poi il gol nel derby. Adesso ti senti di aver avuto di più o aver perso di più? Vale la pena rischiare di trovarsi come Batistuta o Van Basten?
Colautti: “Vorrei precisare che Federico non è stato sottoposto a trattamenti contro la sua volontà o pericolosi per la sua salute. Tutto ciò che è stato e che verrà fatto sono trattamenti consoni. La frase di Batistuta è stata molto forte”.
Balzaretti: “Tutto è stato deciso insieme, voglio ringraziare tutto lo staff medico. Detto questo, voglio provare a giocare. Da questo punto di vista non voglio avere un rimpianto. Mollare senza aver provato non rientra nella mia mentalità, ho sempre dato non il 100 ma il 1000%. Voglio arrivare a casa tutte le sere dando il 110%, poi se si vince o no non cambia. Voglio dare tutto per provare a giocare. Tutto quello che è stato fatto non è stato lesivo per la mia vita”.
C’è stato un momento in cui hai pensato di smettere?
“Sarei bugiardo a dire che non è vero. Credo di essere una persona estremamente lucida, anche nei momenti più difficili. Quando ti si prospetta una situazione così difficili è impensabile che non venga in mente. Subito dopo, grazie a Dio, entra la parte caratteriale, quella di non mollare. Sono ancora in questa fase”.
A Colautti: può spiegare meglio il problema?
“La sintesi pubica è un’articolazione molto importante, convergono su di essa strutture tendinee dei muscoli adduttori che fanno sì che ci si possa muovere nello spazio. C’è un’alterazione strutturale di questa articolazione, con due ossa che si fronteggiano. Nel caso di Federico, l’usura si è evoluta negli ultimi mesi in modo molto veloce e questo ha contribuito in modo decisivo al rallenamento del percorso riabilitativo”.
C’è stato qualcosa in questi mesi che si sarebbe potuto fare o che si sarebbe potuto evitare?
“Secondo me no. Quello che è successo è qualcosa che nasce negli anni, dalla mia conformazione, dal mio modo di giocare, dalla mia corsa. Probabilmente mi hanno portato a un’usura. Mi risparmio poco, di questo sono contento, se non mi fossi allenato quanto e come mi sono allenato non sarei mai arrivato alla Roma a 31 anni. Non ho rimpianti, però un po’ di usura precoce l’ho avuta in quella zona e purtroppo è arrivato un punto in cui quella zona specifica non ha retto più quegli stress. Non abbiamo sbagliato a fare nulla, abbiamo razionalmente pensato a interventi, terapie e ogni singolo lavoro. Per cui ci sono anche delle cose che al di là della natura e di quello che uno fa degenerano perché la natura fa il proprio corso. Gli interventi sono stati fatti tutti per un motivo, questa patologia è talmente profonda e forte che questi interventi non sono bastati”.
È vero che a Boston hai rifiutato un’operazione proposta?
“Sempre per quello che abbiamo detto, l’altra operazione prospettata a Boston secondo il nostro parere non era funzionale al mio problema, sarebbe stata una cosa tanto per farla e non sarebbe stato utile. Abbiamo pensato che la seconda operazione di Monaco sarebbe stata importante, pensavamo fosse la scelta giusta. Anche per casistica, aveva prodotto dei risultati. L’ultima parola è sempre la mia, ho scelto quel tipo di operazione che non ha dato risultati”.
Sempre più calciatori si curano all’estero, come mai?
Balzaretti: “Non è che si va all’estero perché sono più bravi o meno bravi, ma perché non si fanno le cose campate per aria. Il fatto di andare all’estero è perché persone con casi simili hanno avuto risultati. Nel mondo ci saranno 30-40 dottori che fanno quel tipo di operazione, si sceglie quello reputato migliore”.
Colautti: “E’ l’atleta che decide, ma è opportuno da parte nostra proporre ulteriori consulenze che non necessariamente devono essere stranieri. Tutto cercando la miglior professionalità possibile. Al termine della valutazione è il calciatore che decide qual è il suo orientamento e noi dobbiamo supportarlo”.
È cambiato il rapporto con l’allenatore? I compagni ti hanno “promesso” qualcosa?
“Sono io che prometterò qualcosa a loro. Il mister è fantastico, non ci sono parole per descrivere le sue qualità umane. Per noi è un padre. Mi fa più che sentire partecipe, mi chiama prima delle operazioni e dopo le operazioni. È a me che dispiace, contavamo tutti di poter stare bene. Mi dispiace non potergli dare sul campo un contributo, con me si comporta in maniera incredibile. È una persona speciale”.
C’è qualcuno in particolare che ti è stato vicino? Ti piacerebbe fare l’allenatore?
“Non ti rispondo, proprio perché mi sono detto che sentendomi ancora un calciatore voglio rimanere con la testa sul campo con gli scarpini e la maglia giallorossa. Voglio ancora giocare. Alla prima domanda, fare dei nomi è difficile. Ci sono compagni con i quali ho legato maggiormente come Daniele e Morgan, con cui ho rapporti più profondi e che mi stanno vicino più degli altri, al di là di questo problema. Tutti mi sono vicini, cercano di coinvolgermi, anche io quando riesco metto il naso fuori, mi danno questa forza. Tengo nuovamente a dirlo, è quello che fa la differenza. Nonostante sia un po’ in disparte, giustamente, tutto ciò mi dà la forza di andare avanti e riuscire a superare queste difficoltà. Tra un mese, due mesi, tre mesi, non si sa, magari riuscirò ad allenarmi e giocare senza dolore. Ora non vedo questo così vicino, per cui ogni mattina mi sono posto questo obiettivo. Il problema di questi mesi è che non riesco ad avvertire il dolore, devo fare qualcosa in più per capire, per questo mi avete visto correre in Austria, per me il test è correre. Non ho mai avuto problemi nel quotidiano, nel camminare o nell’alzarmi dal letto, il mio problema è che non riesco a correre. Facevo 10 metri e mi si infiammava. Abbiamo tentato qualche grado in più e veniva fuori di nuovo l’infiammazione. Ripeto, l’unica cosa che posso promettere è che ce la metterò tutta per guarire. Mi voglio sentire ancora un calciatore e voglio fare una corsa senza avere male. Vi ringrazio per essere stati qui, siete riusciti a trasmettere questo messaggio alla gente, alle persone che sono fuori. Credo che sia stato tutto chiaro”.
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