(F.Bianchi) – Non è stato certo un bello spettacolo la finale di Coppa Italia: ci ha fatti tornare indietro di anni. Dopo, si sono sprecate troppe parole. A tutti i livelli. Ora c’è silenzio. Ma il 3 maggio sia Matteo Renzi che Pietro Grasso, la seconda carica dello Stato, si sono guardati bene dall’abbandonare la tribuna autorità dell’Olimpico quando i tifosi di Napoli e Fiorentina hanno fischiato l’inno di Mameli. Il giorno dopo, tutti, hanno dispensato consigli. La solita caccia all’ultrà, come sempre in questi casi. La promessa del pugno duro, del giro di vite, di leggi d’emergenza: basterebbe, volendo, applicare le regole che già ci sono (e organizzare meglio le partite…). Sostenere, come fanno anche molti giornalisti, che ultrà sia sinonimo di violento è una fesseria: sì, ci sono anche violenti fra gli ultrà, come ci sono in diversi settori dello stadio.
Ma le responsabilità (anche penali) sono personali: non vanno attribuite ad un’intera curva. Con questo bisognerà chiarire cosa è successo davvero a Tor di Quinto, allo stadio, come è possibile entrino ancora fumogeni e petardi ora che ci sono prefiltraggi, tornelli, biglietti nominativi, tessere del tifosi. Ora che gli stadi sono stati blindati e aboliti anche gli striscioni (pure quelli goliardici, che tristezza). Ora che si rende la vita più dura ai tifosi perbene mentre i violenti, i beceri, come si è visto, purtroppo hanno via libera. Renzi ha promesso un tavolo di confronto dopo le Europee: siamo in attesa. Alfano ha proposto il Daspo a vita: incostituzionale, solo uno spot elettorale. Il mondo dello sport aspetta, e intanto non fa nulla. L’Osservatorio del Viminale propone non solo di inasprire il Daspo, portandolo a 8 anni in caso di recidiva, e questo potrebbe essere efficace, ma anche di introdurre il Daspo di gruppo e preventivo. Faccio un esempio. Un gruppo di tifosi scende da un bus ad un autogrill: in 4-5 rubano e non pagano. Cosa succede? Viene dato il Daspo a tutti i componenti del bus? Anche al nonno col nipotino che è passato regolarmente alla cassa? Ripeto: le responsabilità (penali) sono individuali. Difficile estenderle ad un intero gruppo.
Bisogna colpire i violenti, non a caso gli ultrà. Perché essere ultrà significa un modo di tifare passionale, “forte” ma non necessariamente fuori dalle regole o dalle leggi. Anche se esibire, o condividere chi esibisce, la maglietta “Speziale libero” è sbagliato: significa non riconoscere un verdetto dei tribunali e offendere la memoria di chi è morto per il calcio, sia essere poliziotto, calciatore o tifoso. Come fanno quelli, immancabili idioti, che sventolano striscioni sull’Heysel o sulla tragedia di Superga. Ma molti ultrà fanno beneficienza o sono impegnati nel sociale. Altri sono andati a Novi Sad al funerale di Boskov (quando i calciatori dello scudetto non si sono fatti vedere). Sono i ragazzi del Gruppo Ultras Tito Cucchiaroni 1969 della Samp. “Non potevamo mancare”, mi hanno detto. I calciatori che hanno vinto lo scudetto non c’erano. Sabato 7 giugno gli ultrà del Tito Cucchiaroni terranno una festa a Genova: con stand e dibattiti. Ma non ditelo ad Alfano…
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