(M. Ciccognani) – Il trionfo del Made in Italy. Carlo Ancelotti, Re di Spagna ma soprattutto d’Europa. L’unico, vincente, sempre e ovunque. Dal Milan, al Chelsea, al Psg e ora al Real dove ha portato la Decima Coppa dei Campioni.
Ancelotti, lo sa che è entrato nella storia del Real?
«E ne sono orgoglioso. Al primo anno abbiamo fatto una stagione ottima e siamo riusciti a portare a casa la “Decima” che era il sogno di tutti i tifosi. Madrid è impazzita. Entrare nella storia di questo club è la cosa più bella e significativa».
Era questa la sua missione?
«Quando ho accettato il Real sapevo che la Champions era l’obiettivo prioritario. Ho vinto ma non significa nulla perché quando si ripartità sarà tutto azzerato. Sarà come cominciare da zero, perché per noi allenatori gli esami non finiscono mai».
Che sapore ha per lei questa vittoria?
«Lo stesso gusto delle altre, quando vinci, soprattutto in Europa è tutto bello. Lo è di più per il Real e sono felice per aver regalato questa gioia a tutto il madridismo».
I suoi giocatori l’hanno festeggiata a lungo: che significa?
«Tra noi si è creato un ottimo feeling. Ragazzi e professionisti unici. Sono stati fantastici. Tutti».
In Italia non si vince più.
«Dovremo avere più pazienza e qualche soldino in più. Lo scorso anno per esempio sono arrivate in finale due tedesche, quest’anno due spagnole e non dimentichiamo che l’Italia aveva portato tre squadre in semifinale e due in finale nel 2003. Il campionato italiano oggi è un po’ carente ma abbiamo tanti giovani di prospettiva sui quali lavorare. Quello che manca è la cultura sportiva, gli stadi, l’ambiente. L’Inghilterra aveva tanti problemi peggiori dei nostri, oggi è al top».
Italia, Inghilterra, Francia e Spagna, che differenza c’è a livello calcistico?
«In Italia c’è molta tattica, in Inghilterra molto ritmo e intensità, in Francia prevale la fisicità, in Spagna il gusto del bel gioco».
Come ricorda le sue cinque perle Champions?
«Emozioni grandissime. Nell’89 da giocatore con il Milan contro lo Steaua Bucarest, ricordo la facilità con la quale vincemmo. All’intervallo eravamo avanti di 3 gol e la partita era già chiusa. L’anno dopo contro il Benfica è stata più difficile. Arrivammo con qualche problema alla finale, non stavamo bene. La vincemmo grazie ad un’ottima fase difensiva e a un gol di Rijkaard».
Poi i trionfi da allenatore.
«A livello di emozioni quella del 2003 è stata quella più intensa, forse perché era la prima in panchina contro una squadra italiana (la Juventus, ndr) con una lunga sequenza di calcio di rigori. Prepararla tecnicamente era impossibile perché il rigore è una situazione psicologica, di fiducia, sicurezza, tranquillità e la cosa più difficile è trovare gli uomini giusti da mandare dal dischetto».
Poi ci fu Istanbul e il Liverpool.
«Giocammo benissimo, nel primo tempo frantumammo il Liverpool. Poi è successo un quacosa difficile da spiegare, che non si può spiegare e in sei minuti succede quello che non è mai successo. Mi sono chiesto cosa potevo fare? Nulla, in 6’ un allenatore può nulla».
Nel 2007 la rivincita.
«Era un segno del destino che il Milan vincesse quella finale. Anche i ragazzi lo sapevano. Non sbagliammo nulla».
E poi l’ultima al Da Luz di Lisbona.
«Siamo stati un po’ fortunati ma abbiamo meritato di vincerla. Sono felice per il madridismo e per aver occupato un posto che mancava nella bacheca del Bernabeu».
Inzaghi al Milan, che ne dice?
«Pippo ha entusiasmo da vendere e ha fatto bene con le giovanili. Se sarà lui il tecnico, l’esperienza la farà sul campo e gli auguro di far bene».
E lei tornerà al Milan?
«Ho iniziato adesso al Real e so che possiamo aprire un ciclo. Poi si fa presto a dire che se Ancelotti non vince la finale salta. La vittoria ha tanti padri, la sconfitta uno solo ed è sempre colpa dell’allenatore. Sto bene a Madrid e spero di continuare qui».
Ha visto la Roma di Garcia?
«Ha fatto un’ottima stagione e con un tecnico nuovo e fino alla fine ha tenuto testa alla Juve. Di Bartolomei? Tra poco sono venti anni che se è andato ed è sempre nei miei pensieri e se ci fosse sarebbe un bell’esempio per i giovani: esperienza, serietà e professionalità».
È l’ora dei Mondiali. L’italia come la vede?
«L’Italia è sempre rispettata, ha tutto per far bene ma sulla carta non è tra le favorite. Lo sono la Spagna e il Brasile».
E la panchina azzurra? Potrebbe essere il suo futuro?
«È il sogno di tutti, ma io sono al Real e in azzurro c’è Prandelli al quale auguro di fare il meglio. Dopo Prandelli vedremo. Magari chiamerò il presidente Abete e Valentini».
Tante porte aperte, ma da grande, il sogno nel cassetto, Carletto lo ha svelato tempo fa: «Mi piacerebbe regalare alla Roma da tecnico quello che non ho potuto dargli da calciatore», ovvero la Champions persa ai rigori ancora con il Liverpool. Hai visto mai. Buena suerte don Carlo.
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