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AS ROMA De Rossi: “Il derby del 26 maggio non poteva essere la mia ultima con la Roma. Garcia? Grande persona. Zeman? Non ho sassolini nelle scarpe”

Il centrocampista giallorosso Daniele De Rossi

Dopo l’ottimo inizio di campionato della sua Roma e una condizione fisica e mentale ritrovata nel migliore dei modi, Daniele De Rossi è tornato a parlare del momento della squadra giallorossa. Ecco l’intervista completa:

L’anno scorso?

“Gran bel calcio per 10 minuti, ma poi ci spegnevamo. Io a Roma-Bologna dell’anno scorso non avevo giocato, poteva finire 3-0 il primo tempo. E’ importante anche analizzare la partita oltre quei 30 minuti di intensità. La gestione tranquilla della partita”

Sul salvataggio al derby

“Importante per noi, per la classifica, per i tifosi, per il morale. In 10 contro 11, un derby che vincevamo, sono contento di aver salvato quel gol. Magari tirava fuori, per una volta diceva bene a noi”.

Su Garcia

“I vecchi avevano bisogno di riscatto, volevano riscattarsi e ripartire da zero, cambiare registro. In questo è statao aiutato Garcia nella gestione del gruppo. Ma lui ci mette lealtà: mai sopra le righe, molto semplice, normale. La prima volta ho parlato con lui al telefono, ero ancora in vacanza, per gestire bene i giorni di vacanza. L’ho visto anche lì molto disponibile, credevo e sentivo che lui mi vedesse come un giocatore suo, mentre tutto il mondo stava dicendo il contrario, cosa che poi non era vera. Però, se leggevi i giornali in quei giorni, se leggevi i siti, mi davano per fatto. Intanto, mi davano in qualche città esotica, da qualche parte a firmare chissà quale contratto, mentre lui mi ha trattato come un giocatore suo, un giocatore che, come poi è successo, sarebbe rimasto con lui. Quindi, oltre alla grande disponibilità, mi è piaciuto subito quello, il senso di “appartenenza” o, comunque sia, subito a parlare del lavoro e della prospettiva di fare una grande annata insieme”.

Come hai convinto Garcia a correre sotto la curva? 

“Lui è molto partecipe alle nostre vittorie. Lui sta creando questa cosa così bella, è giusto che andasse da loro. E’ giusto contenersi, come abbiamo fatto noi: non serve eccedere, come quando si perde. Con contegno e discrezione abbiamo festeggiato tutti insieme”.

Addio Roma? 

“Si è parlato molto questa estate; quest’anno, quando ho parlato con il mister, quando ho parlato con la società, dato che mi piace essere sempre chiaro, per la prima volta gli ho detto che avrei voluto ascoltare eventuali offerte, vederle, valutarle, mentre negli anni addietro avevo sempre respinto ogni offerta ancor prima di ascoltarla, molto decisamente. Quest’anno sentivo che poteva essere l’anno giusto nel quale cambiare o nel quale provare a sentire quello che veniva fuori altrove, perché l’altro anno le cose, lo sapete meglio di me, non sono andate bene e io le cose voglio che vadano bene per me e non dico soprattutto ma quasi soprattutto, per la Roma. Essere un giocatore della Roma e non fare felici i tifosi, non fare felice la Roma, non mettere tutti d’accordo, come quasi sempre è stato , per me era un peso abbastanza schiacciante. C’erano tante cose che non andavano ma, forse, ce n’era una ancora più grande, che non andava bene a me: non potevo pensare che la mia ultima partita con la maglia della Roma fosse quella. Quella era la cosa che non riuscivo a mandare giù, mi potevo immaginare in qualsiasi squadra del mondo, ad alzare qualsiasi trofeo, ma pensare che io avevo giocato l’ultima partita con la maglia della Roma in un derby perso in finale era la fine di una delle, non so, storie d’amore tra un calciatore e una squadra più grandi che io conosca ed era la fine sbagliata, insomma”.

Sul tuo rapporto con la città. Parlasti di calunnie…

“Non glielo spiegherei, ci dovrebbe vivere 30 anni e magari 12 da calciatore e magari ci deve viviere come me, senza mai scendere a compromessi senza mai creare rapporti particolare con un certo tipo di stampa, senza mai creare delle barriere che a volte sono necessarie qui a Roma. Poi quando ho parlato di calunnie, non ho usato la parola sbagliata, ma non deve nemmeno passare il concetto che a Roma vivo male e che non posso camminare per strada o abbia vissuto chissà quale avvenimento spiacevole. Per strada non trovo mai gente ostile, scritte o attacchi da parte dei tifosi o dei laziali. Sono sempre stato rispettato da tutti quanti”

Il rapporto con Zeman? Diceva che pensavi agli affari tuoi…

“Venivo da una panchina, che avevo accettato non felice ma in maniera professionale. Solo dopo a casa avevo scoperto queste dichiarazioni. Di tante cose che mi rimprovero per la scorsa stagione, non c’è il lato personale: non ho reagito a queste parole, sono tornato come niente fosse. Io devo fare il calciatore: se lavori per 12 anni in un posto, capita anche il direttore di cui non condividi qualche idea. Ho continuato a rispettarlo, ci mancherebbe altro. Tornanre a parlare di quello sarebbe un togliersi dei sassolini dalle scarpe che io non ho”

Sul razzismo.

“Il razzismo è una cosa odiosa, ma quanti di quelli che fanno un coro razzista sono veramente razzisti e quanti lo fanno solo per offendere un giocatore, per ignoranza, magari solo per farsi una risata su una cosa che non fa ridere. E’ più ignoranza che razzismo vero e proprio. L’ignoranza non finirà mai, così come il razzismo, ma negli stadi credo si tratti proprio di questo. Il calcio in Italia? Non è un giudizio positivo, però. In Germania e in Inghilterra campi perfetti, spesso da noi trovi campi di patate. Altrove atmosfere calde ma civili, begli stadi. Noi giocatori possiamo aiutare, ma c’è un modo latino, italiano di vivere il calcio che ci porta a fare risse in campo, parlo anche di me, ad esapserare. E’ un modo italiano di vivere il calcio, è difficile da estirpare totalmente. Razzismo? Più ignoranza che razzismo vero e proprio”.

Sulla Nazionale.

“La Nazionale m’ha salvato. Ho rimesso dopo una settimana gli scarpini ai piedi e avevo la nausea: “Ma che ci faccio qui”. L’aria della Nazionale, da grande club, mi ha fatto bene e mi ha aiutato a rifissare gli obiettivi. La carriera deve andare avanti. I miei compagni e il ct mi hanno aiutato a fissare nuovamente i miei parametri. Credo che il ct abbia portato un discorso di cultura calcistica e di disciplina che ci ha aiutato. Stavamo per tornare a grande livello. I migliori non sono così distanti, perché nelle ultime gara abbiamo giocato ai loro livelli. Al Mondiale ce la giocheremo con tutti. Non dico che siamo favoriti, perché sono tante le squadre forti che si giocano il Mondiale, però non vedo tanto distacco tra noi e loro”.

Il calcio in Italia?

“Ne ho parlato e poi non mi sono piaciuto. Non è un giudizio positivo, però. In Germania e in Inghilterra campi perfetti, spesso da noi trovi campi di patate. Altrove atmosfere calde ma civili, begli stadi. Noi giocatori possiamo aiutare, ma c’è un modo latino, italiano di vivere il calcio che ci porta a fare risse in campo, parlo anche di me, ad esapserare. E’ un modo italiano di vivere il calcio, è difficile da estirpare totalmente. Razzismo? Più ignoranza che razzismo vero e proprio.

Cosa ti piace di Roma?

“Io amo tutto della mia città. Mi piace anche quello che ai romani non piace. Ho abitato per due anni a Campo de’ fiori, che è proprio il centro della movida romana e della confusione. Sono stati anni belli della mia vita, perché ero immerso in tanta romanità. Ora invece vivo a Ostia, lontano da tutto. Il mio rapporto con la città è simile a quello che hanno fatto altri come Francesco. Non è un rimpianto essersi legati a vita alla Roma”.

Roma non è un limite alla tua carriera?

“Lo è, oggettivamente, come lo è statao per altri come Totti. Non siamo come il Barcellona o il Real Madrid, ma a 30 anni non è un rimpianto, sono serenissimo. Francesco si è creato un ruolo così grande che è un orgoglio maggiore rispetto a quello di vincere trofei”

In cosa vorresti ti somigliassero i tuoi figli

“Spero che i miei figli si amino quanto io amo loro. Spero che mi assomigli nell’onestà: dico qualche bugia, ma solitamente la verità”

Vi aspetta una partita difficile con l’Inter. Come pensate di affrontarla?

“L’Inter è l’avversario più difficile forse finora, anche se le altre non erano facili. Sono fortissimi, immagino una bella partita, abbiamo creato sempre tante occasioni. Dal punto di vista del gioco ci metterà in difficoltà. Con Mazzarri non ho mai lavorato, mi faceva piacere quando veniva accostato alla Roma, ha ottenuto risultati importanti, i numeri parlano per lui. Come noi, sembrava non avere una squadra, ma poi ha dimostrato il contrario, Non so che tipo di lavoro abbia fatto all’Inter”.

Sul tuo soprannome: capitan Futuro

“Un soprannome che non mi ha mai fatto impazzire dalla prima volta che l’ho sentito. Ormai lo senti anche per strada. Lo mettiamo da parte,  è un orgoglio essere il vice capitano della Roma. Hai Totti davanti, sai che puoi essere qualcosa in meno. Pensare che subentrerò a lui quando non ci sarà più non è una cosa piacevole. Per me, per lui e soprattutto per i romanisti. Non è una cosa che vivo con ansia. Nessuno farà la festa dicendo “Evviva, De Rossi è diventato il capitano”. Saranno tutto abbastanza dispiaciuti perché la storia, il giocatore più forte della storia della Roma, smetterà di giocare. Non ho questa ansia. Mi vedo riconosciuto dai miei compagni come un giocatore importante come un loro amico, una persona per bene. Anche i tifosi mi vedono come un simbolo di questa squadra e non c’è bisogno di avere una fascia al braccio per essere più felice”.

ASCOLTA PARTE DELL’INTERVISTA

Fonte: Sky Sport 

giovanni parisi

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Tags: news roma

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