NBA FINALS/ASROMALIVE.IT – A 5’ dalla sirena, la standing-ovation dell’AT&T Center è tutta per loro: Danny Green, e Gary Neal. Le due seconde linee hanno messo insieme ben 51 punti (con 13 triple complessivamente).
San Antonio ne mette 16 (su 32 tentate) griffando il nuovo record delle Finals NBA: Green (27 punti, top-scorer dell’incontro) spara un fantascientifico 7/9 dalla distanza; Neal (24), infila forse un ancor più sorprendente 6/10. Ma la fortuna, questa notte, premia gli audaci. Il clinic di tiro degli Spurs non è un exploit a sé stante, ma nasce da una spettacolare orchestrazione offensiva che porta la squadra di Popovich a realizzare ben 113 punti con il 49% dal campo: non importa chi siano gli interpreti in maglia nero-argento, ma quel pallone va dentro, torna fuori e gira sul perimetro con una fluidità, una rapidità e un’efficacia senza eguali. San Antonio è anzitutto più squadra, e gara-3 non lascia dubbi a riguardo.
Kawhi Leonard cancella completamente LeBron James dalla contesa, rendendo l’MVP della Lega una semplice quanto triste comparsa qualsiasi. E, come se non bastasse, alla spettacolare prestazione nella metacampo difensiva (pure 4 recuperi) aggiunge anche 14 punti e 12 rimbalzi, raggiungendo la doppia cifra nel conto delle carambole per la terza volta nella serie. Ma la difesa neroargento non è certo solo Leonard: c’è anche il solito, classico, lavoro di vecchio Tim Duncan (12 punti, 14 rimbalzi, 2 stoppate), un Thiago Splitter in netta ripresa dopo la crisi psicologica della scorsa partita, e, soprattutto, un Danny Green che aggiunge alle bombe un pregevole lavoro in marcatura alternata su Wade e LeBron.
La fragilità mentale di questi Heat emerge al primo violento scossone, e va di pari passo con le difficoltà psicologiche dei suoi leader: Chris Bosh (12 punti) gioca un primo tempo accettabile nonostante la sua riluttanza a metter piede nel verniciato salvo poi scomparire completamente dai radar nella ripresa, stesso copione seguito da Dwyane Wade, che continua ad alternare primi tempi vivaci a secondi inesistenti in modo piuttosto sinistro. Anzi, a tratti sembra quasi che Miami giochi meglio con loro due in panchina (vedi il break piazzato alla fine del terzo periodo), altro elemento che pare evidenziare una qual certa spaccatura con LeBron James.
Già, il Prescelto. Che Bosh non sia cuordileone è arcinoto, che Wade abbia problemi fisici è risaputo, ma nessuna scusante si può trovare per venire in soccorso di un LeBron irriconoscibile. Completamente annebbiato dalla difesa neroargento, James sbaglia 11 dei suoi primi 14 tiri, accontentandosi sempre di un jumper che non entra senza mai provare ad attaccare il ferro: finirà con 7/21 grazie a una fiammata di 9 punti consecutivi alla fine del terzo periodo, quando gli Spurs avevano allentato leggermente la presa dopo aver toccato il +23, e senza nemmeno un tiro libero tentato. Non gli succedeva dal 2 dicembre del 2009, quando ancora vestiva la maglia dei Cavs. Più spaurito che nervoso, James finisce col venire quasi sfidato al tiro da un Leonard che gli lascia un paio di metri di spazio, coi ferri del palazzo che continuano a risuonare: è un LeBron che tende a nascondersi, a lasciar fare gli altri, proprio come nei momenti decisivi contro i Mavs, ma con questi Wade e Bosh e un supporting-cast che fa più confusione che altro, ne risulta che, con lui in campo, il plus/minus dica -32. Assurdo, quanto inaccettabile, solo 15 punti per Il Prescelto.
“Abbiamo avuto quello che ci meritavamo – è stato il commento del coach di Miami, Erik Spoelstra – . Hanno preso ogni tiro che hanno voluto. Non li abbiamo messi mai in difficoltà. Non abbiamo fatto il nostro gioco”.
Ma c’è una grossa ombra sulla vittoria: Tony Parker potrebbe aver riportato una lesione a una coscia e rischia di saltare quantomeno gara-4. Nella mattinata di San Antonio la risonanza magnetica chiarirà la situazione.
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