ATTUALITA’ 21 ANNI FA STRAGE CAPACI STORIE ITALIANE / ASROMALIVE.IT – Questa è una storia che non si sarebbe mai voluta né dovuta raccontare. Una testimonianza del fatto che, per diventare eroi, bisogna prima essere dei martiri. Una storia dove i confini tra ciò che è bene e ciò che è male, risultano fin troppo sfocati. Una storia dove le istituzioni e la criminalità sembrano darsi la mano. Una storia che, ancora oggi, molto probabilmente, non ha esaurito il suo conto. Una storia fin troppo comune, almeno nel nostro Paese…
Chi scrive, quel giorno aveva appena nove anni. Eppure basta chiudere gli occhi per rivivere le sensazioni di allora, sensazioni che si inscrivono in un più generale clima di ansia. La paura di essere impotente di fronte alla Storia (quella con la “S” maiuscola) da non poter combattere con la storia (quella con la “s” minuscola). La paura di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato. La paura, ancor più forte, che questo potesse succedere ai propri cari. In qualsiasi momento. Perché si sa, il crimine non guarda in faccia nessuno. Non esistono le distinzioni tra colpevoli e innocenti.
Quel 23 maggio del 1992, ad esempio, è accaduto a Vito Schifani (27 anni), Rocco Dicillo (30 anni), e Antonio Montinaro (30 anni). Erano nella macchina sbagliata (o forse quella giusta, nell’ottica degli attentatori): per la precisione una Fiat Croma marrone. Erano anche nel posto sbagliato: sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, a pochi chilometri da Palermo. Fu qui che, alle ore 17.58 di quel venerdì, esplose una carica di cinque quintali di tritolo posizionata in una galleria scavata sotto la sede stradale. La loro colpa era quella di essere la scorta di Giovanni Falcone, che stava tornando da Roma a Palermo per il fine settimana e che li seguiva alla guida di un’ulteriore Fiat Croma di colore bianco. Se si parla di colpe, qual era quella del giudice siciliano? Soltanto la ferma volontà di fare il giusto, di operare come andrebbe fatto. Il dover e saper essere, insomma, nel mondo del voler essere. Un concetto che, ancora oggi, sembra un’utopia. E la colpa di Francesca Morvillo, che sedeva accanto a lui? Il fatto di essere sua moglie.
Si potrebbero raccontare tante altre cose. Puntare il dito contro i colpevoli, ricordare chi essi siano e le loro condanne, le ipotesi non troppo astruse di un sistema corrotto venuto a patti con i criminali. Ci si potrebbe chiedere il perché di tutto ciò. Il problema è che articoli come questo avranno sempre e solo la stessa data, magari soltanto incrementata di anno in anno. Il ricordo ha breve durata. Gli eroi sembrano essere ben altri. Quelli reali, quelli per cui quasi si riscopre il senso di appartenenza ad un Paese, vengono rimessi in vetrina per un giorno, in occasione di macabri anniversari.
Domani il circo ricomincerà. E diventeremo nuovamente colpevoli. Anche noi.
Marco Pennacchia
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