ROMA MEDIOCRITA’ ULTIMI DUE ANNI / ASROMALIVE.IT – Ci risiamo. Ogni qual volta la Roma ha l’occasione per dare una svolta alla propria stagione, questa, puntualmente, non viene colta. Insomma, la storia si ripete. Tante, forse troppe volte è successo ma, nella stagione che sta ormai per finire, sembra che questa sia la normalità. Si potrebbe dire che, da due anni a questa parte, la costanza della Roma sia l’incostanza.
Tante volte si è cercato di capire quale fosse la fonte di questa altalenanza. Giocatori sopravvalutati o troppo giovani che peccano di inesperienza e poca personalità? Forse inadatti agli allenatori scelti in questi due anni dalla dirigenza? E se le colpe fossero in primis proprio della società? Perché una cosa è innegabile: i vertici della Roma sono invisibili. James Pallotta è piuttosto un’immagine che una persona concreta. Passa di rado a Trigoria per sbrigare qualche affare e controllare la situazione. Non è di certo un presidente presente, che alza la voce magari anche con passione e con veemenza per difendere la propria squadra. Sembra quasi che ne sappia più di basket che di calcio, che tenga più al marchio che alla squadra. Insomma, a questi americani interessa davvero far grande la Roma? Se poi anche al direttore generale scappano dichiarazioni come “questa piazza non è abituata alla vittoria e forse nemmeno le manca”, si potrebbe pensare che, con questa dirigenza, sia morta per sempre la mentalità da grande squadra.
E che dire degli allenatori? Si deve pensare che il calcio di Luis Enrique e di Zeman fosse troppo difficile da interiorizzare per giovani che si affacciavano per la prima volta in Serie A? Questo può essere a vero, ma lo è anche il fatto che un bandiera portante della Roma, da qualche tempo a questa parte, a prescindere da chi si siede in panchina, non sia più lui. Nel caso di Zeman, poi, il giudizio è ancora più difficile: il boemo ha mostrato, in alcune occasioni, un po’ di testardaggine; ha commesso degli errori, anche gravi a volte. L’incostanza si è vista anche con lui, così come con Luis Enrique. Eppure, a sprazzi, si è vista una Roma che ha fatto innamorare gli appassionati di calcio.
C’è chi sostiene che Zeman sia stato allontanato perché faceva lavorare troppo i giocatori, che, quindi, hanno iniziato a remargli contro. Si tratta di voci. Eppure, qualche dichiarazione da parte di alcuni elementi della rosa destano qualche pensiero. Così come i numerosi annullamenti delle doppie sedute. Inoltre, spesso, l’atteggiamento della squadra è parso molto affine al menefreghismo, alla svogliatezza. E’ successo a Palermo, contro il Pescara e nel primo tempo di San Siro contro l’Inter in Coppa Italia.
Ieri sera l’amara conferma. Questa squadra non ha un carattere e, bisogna dirlo, nemmeno un allenatore. Dispiace usare queste parole contro un uomo simpatico e ben voluto contro Andreazzoli ma forse adesso la Roma avrebbe bisogno di tutt’altro, come già sostenuto nell’editoriale del nostro direttore Andrea Polichetti (clicca qui per leggerlo). Forse ci vorrebbe un uomo alla Capello, di forte personalità, che sappia gestire anche i casi più estremi (e nella piazza romana ce ne sono pure troppi). Non solo un bravo tecnico m una sorta di “sergente di ferro”, che sia capace di strigliare a dovere i propri uomini mantenendone la benevolenza. Una persona capace di arrabbiarsi e di mettere tutti in riga.
La Roma vinse lo scudetto proprio con Capello. Quella inoltre era una squadra non infarcita di giovani, seppur di belle speranze, come quella di adesso. Ora le finanze pare non ci siano più (anche se poi gli investimenti di Lamela, Osvaldo, Destro fanno pensare altro). Dunque la domanda è una sola: con Ranieri si è chiusa un’era e ora ci si deve arrendere a vedere una squadra da sesto-settimo posto per i prossimi anni? Perché se fosse così, gli americani, Baldini, Sabatini, Baldissoni, Zanzi e certa parte della stampa dovrebbero smetterla di usare toni trionfalistici e dire le cose come stanno. La Roma e i propri tifosi se lo meritano.
Marco Pennacchia
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