L’ex portiere brasiliano si lascia andare ai ricordi
DONI INTERVISTA / ASROMALIVE.IT – Doniéber Alexander Marangon detto Doni ora vive in Brasile, a Ribeirão Preto, non molto lontano da San Paolo. Qualche mese fa durante un controllo cardiaco a Liverpool gli si è fermato il cuore. «Mi sa proprio che devo smettere…», dice oggi il brasiliano, lanciato da Spalletti proprio in un derby. Ecco la sua intervista al quotidiano Il Messaggero.
Le dispiace appendere gli scarpini al chiodo?
«Meglio smettere che morire».
Senza dubbio. Ricorda i derby romani?
«L’ultimo vinto, e in porta c’ero io, poco. Sarà che quando giocavo ero abituato a estraniarmi. Specialmente a Roma bisognava fare così. Città meravigliosa, esperienza in giallorosso bellissima, ma era dura in certi momenti. Per giocare bene lì bisogna essere forti di testa».
Però almeno un derby lo porta ancora con sé, non dica di no.
«Sì, quello dell’undicesima vittoria consecutiva. Non feci una parata, gol di Taddei e Aquilani, Totti era a bordo campo, infortunato. Ricordo benissimo».
Un altro: il 4-2 del 2009.
«Anche questo non lo dimentico, per altri motivi. Ero a pezzi, da mesi giocavo solo per onorare la maglia e aiutare la squadra. Ma avevo una gamba e basta: sentivo dolore al ginocchio, non mi allenavo. Spalletti mi voleva in campo, io davo la mia disponibilità. Ma in pochi hanno capito il sacrificio. Pazienza».
Un altro ancora: il suo primo.
«Grande emozione, bella serata. Finì uno a uno, Rocchi e Totti. C’era ancora Di Canio, un uomo simbolo della Lazio, un trascinatore».
Come Totti e De Rossi?
«Sì, ma loro sono molto più tranquilli. Anche se, devo dire, la settimana del derby qualcosa gli scattava, si facevano sentire. Ma in queste partite, più sei un uomo derby e più rischi di steccare. Magari ti risolve la partita chi c’entra poco con Roma e la stracittadina. Contano le maglie, la squadra. Chi gioca gioca, è sempre il clima a fare la differenza».
S’è lasciato male con la Roma?
«Lì per lì mi è dispiaciuto andare via. Adesso collaboro con la società, mi occupo delle scuole calcio in Brasile».
In quel periodo le hanno preferito Julio Sergio.
«Anche lui non è andato male. Ranieri lo preferiva a me, poi è arrivato Montella e ho giocato. Tra l’altro io lo avrei tenuto: Vincenzo è un bravissimo allenatore».
E adesso sa chi c’è alla guida della Roma?
«Come no, il mio amico Aurelio. Brava persona, intelligente».
Un giudizio su Stekelenburg.
«Non l’ho visto tantissimo, per quello che lo conosco è un bravo portiere. So che non sta facendo benissimo, ma vale il discorso di prima: a Roma non è semplice, devi estraniarti, essere psicologicamente all’altezza. Magari lui non si è ambientato, non saprei».
Marchetti?
«Lo conosco meglio. Già quando giocava al Cagliari avevo un’ottima opinione su di lui. È bravissimo tra i pali, forte nelle uscite. Mi è sempre piaciuto».
Quindi meglio il laziale?
«Non saprei. Diciamo che ad oggi sta facendo meglio».
Il miglior portiere visto nella Lazio?
«Senza dubbio: il grande Peruzzi. Un fenomeno vero».
A Roma c’è anche Goicoechea, che è arrivato da sconosciuto, un po’ come lei.
«Non lo conosco».
La difesa giallorossa è molto brasiliana.
«Marquinhos e Castan sono due grandi giocatori. Ma io mi trovavo così bene con Mexes, Chivu, Burdisso…».
Hernanes come lo vede?
«È bravo, si è subito ambientato. Calciatore di grande tecnica».
Che partita sarà quella di domani.
«Spero che la Roma vinca, altrimenti sono guai».
Addirittura?
«Uscire sconfitti è come perdere un campionato. La Roma ha pure perso gli ultimi tre. No, non ci voglio pensare».
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