Parla l’ex allenatore degli Allievi giallorossi
BENCIVENGA / ASROMALIVE.IT – Il Romanista ha intervistato una persona che conosce molto bene Daniele De Rossi. «Posso dire che Daniele è cresciuto con me». E può dirlo davvero a pieno titolo, Mauro Bencivenga, che del giovanissimo De Rossi è stato l’allenatore negli Allievi e in Primavera, quando – era sul finire degli anni ’90 – lavorava nel Settore giovanile della Roma.
«Con Alberto, il padre – ricorda ancora, da ex giallorosso – siamo molto amici, anche se io non guardavo in faccia a nessuno. Basti dire che, all’inizio, negli Allievi Nazionali, Daniele con me non giocava. Faceva fatica. Fisicamente era già alto, ma ancora in una fase di passaggio. Però è stato bravo, mostrando già allora un grande carattere. Soffriva in panchina, perché un po’ giocava e un po’ no. Ma ha saputo reagire e, pian piano, guadagnarsi la fiducia. A quel tempo giocava ancora mezz’ala, anche perché a mediano avevo un bel giocatorino, Tinassi, che era anche il capitano di quella squadra e avrebbe poi giocato molto in serie B. Un gruppo composto per lo più da ragazzi dell’82, con cui vincemmo anche il titolo (nel ’99, ndr): ricordo che degli ’83 portai con me, quell’anno, solo Tinassi e Bovo, proprio perché De Rossi era ancora acerbo. L’anno successivo, però, Daniele fece dei progressi notevoli e, anche per questo, giocò quasi sempre. Con la Primavera, poi, ci fu la vera svolta. Tinassi faceva fatica, mentre come mezze ali avevo D’Agostino e Ednilson. Perciò, vedendo anche come si andava strutturando fisicamente, capii che la posizione migliore per Daniele poteva essere quella di mediano davanti alla difesa. Io giocavo a tre, dietro, e lui era l’ideale per fare in certi frangenti il quarto uomo, perché era già molto bravo nel saltare e colpire di testa. E così si è pian piano integrato diventando un punto fermo di quella squadra».
Di seguito, però, andasti a lavorare nello staff di Capello, lasciando quel gruppo.
Era il 2001, l’anno dopo lo scudetto. Il mister, con il quale avevo un bel rapporto, mi chiedeva sempre dei più giovani e se tra questi c’era chi potesse essere aggregato alla prima squadra. Io gliene segnalavo qualcuno ma, in particolare, gli dissi che uno già pronto, in quel momento, era proprio De Rossi. E fu così che Capello lo prese in considerazione, anche se i meriti sono soprattutto di Daniele, che fu bravo a farsi valere da subito, mettendoci quella voglia e quel carattere che gli conosciamo. Insomma, in qualche modo gli ho aperto la strada, potendomi permettere, in quanto amico del padre, di trattarlo anche male. Gliene dicevo di tutti i colori, e a volte lo facevo nero, proprio in virtù del bel rapporto che avevo, e ancora ho, con Alberto. Ricordo che allora portava un orecchino. E io gli dicevo “toglitelo prima di entrare a Trigoria, e rimettitelo dopo che ne sei uscito”. Daniele, comunque, mi piaceva molto. Per quell’aria scherzosa, bella. Di chi, quando entrava in campo, non aveva paura di niente. E oggi sono felicissimo che abbia fatto la carriera che ha fatto. Tra l’altro mi fa piacere sapere che ha sempre parlato bene di me, anche se con lui non mi sento quasi mai. In compenso, mi sento spesso con Alberto. Mi capita di chiamarlo quando le cose vanno magari un po’ meno bene, in modo da fargli arrivare una parola di conforto, che Alberto gli gira da parte mia. Perché quando le cose vanno bene, siamo contenti tutti, e c’è meno bisogno di manifestare quell’affetto che c’è comunque tra noi.
Oggi, a quasi trent’anni, che giocatore è diventato Daniele?
Quando sta bene fisicamente, è tra i più forti al mondo. Sia nella fase di costruzione del gioco che di interdizione. Anche se a me piace quando gioca mediano davanti alla difesa. Non perché non possa giocare intermedio, ma perché lo preferisco ordinato lì davanti, non disdegnando qualche inserimento.
Quest’anno, per lui, un rapporto non facile con Zeman.
Capisco che sentirsi messo in discussione, dopo tutto quello che ha dato in questi anni alla Roma, e sappiamo quanto lui sia generoso, deve averlo frustrato, e non poco, psicologicamente. E non perché non sia legittimo criticarlo, come è possibile con tutti, ma perché le critiche pesanti e prevenute possono davvero far male. Oggi è nel pieno della sua maturità e deve solo riacquistare fiducia e padronanza, più fuori dal campo che dentro. Ma io sono forse poco obiettivo.
Un legame che immagino tu abbia conservato con molti dei tuoi ex allievi.
Quando li vedo in televisione, e soprattutto li vedo far bene, sono la persona più felice di questo mondo. Perché è ciò che ho sempre desiderato. Tante volte ho detto loro “il mio sogno è sedermi all’Olimpico, alzare gli occhi e vedervi giocare, tutti insieme”. E questo sogno, in molti casi, si è avverato. Dai D’Agostino ai Lanzaro, Pepe, Bovo, Amelia, Blasi. E poi, Sansovini, Martinetti, De Vezze… tutti giocatori che hanno fatto una bella carriera, e di cui sono felice e orgoglioso.
Qualche rimpianto?
Mi auguro che alla Roma si ricordino di me, perché non c’è dubbio che la società mi ha dato tanto, ma penso che qualcosa l’ho dato pure io alla Roma. Ne ho un bel ricordo e sono ancora molto legato a quei colori, a quell’ambiente e a quei ragazzi.