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Roma, Burdisso: “Totti? Un mito! I tifosi? Fantastici! Ora a Palermo senza pensare al derby”

Le parole del difensore argentino in un’intervista rilasciata in esclusiva a Roma Channel

Il difensore giallorosso Nicolas Burdisso (Getty Images)

ROMA BURDISSO TOTTI MITO TIFOSI FANTASTICI PALERMO DERBY / ASROMALIVE.IT – Il difensore argentino, Nicolas Burdisso, ha parlato, ai microfoni di Roma Channel, della Roma attuale e di quella di Zeman; dei traguardi da raggiungere e dei propri obiettivi personali. Queste le sue parole:

Si respira un clima positivo ora a Trigoria?
“Ci aspettavamo un po’ di tranquillità, in base ai risultati sicuramente. Sono stati dei mesi particolari, ora si respira un altro ambiente”.

Cosa non ha funzionato?
“Quando si fa una stagione così sono in tanti a sbagliare. Fino all’ultima partita con Zeman ho pensato potesse arrivare il momento in cui il lavoro svolto avrebbe pagato. Abbiamo messo tantissima voglia, tantissimo impegno per seguire il mister. Purtroppo non siamo mai arrivati a quel punto”.

In occasione della festa del papà sono entrati i bambini a Trigoria…
“E’ stata una bella iniziativa, è sempre bello portare i bambini a vedere il lavoro che si fa. Come quella di portare l’amico di Romolo allo stadio oppure le iniziative per le famiglie. Mi aspetto che questa iniziativa possa crescere”.

Tuo fratello Guillermo è stato convocato dal ct dell’Argentina, Sabella. A Roma non è stato fortunato…
“E’ capitato in un anno particolare. La società stava lasciando. L’allenatore si è affidato ad un gruppo che l’anno prima aveva sfiorato lo scudetto e che quell’anno non ha fatto quello che doveva. Non ha trovato spazio ma penso che il calcio italiano sia fatto per lui. Atleticamente è corretto, è aggressivo. In Argentina ha vinto il campionato e sta facendo bene ora. Sono contento per lui”.

Papa Francesco I. Un argentino. Cosa rappresenta per te?
“Come cattolico, praticamente tantissimo. Mi auguro che continui a fare quello che stava facendo in Argentina, con il suo carisma, in modo che la gente possa tornare a credere nella Chiesa che deve essere fatta per i poveri. Mi auguro di conoscerlo presto. Ispira qualcosa di bello”.

Cosa ti ha colpito maggiormente di lui?
“La sua umiltà, ci sono tante cose dietro questa parola. Lui è una persona semplice. Ha appena iniziato ma mi auguro sia questo il cammino, bisogna pensare a quella parola di cui parlano tutti, la pace”.

Il razzismo: lo respirate all’interno del terreno di gioco o sono solo piccoli episodi?
“Tutti questi problemi sociali si portano anche dentro al campo, come la violenza, l’invidia, il campanilismo. Tutte cose, positive o negative, che si respirano fuori dal calcio e vengono poi portate dentro. Noi calciatori siamo obbligati a fare qualcosa per aiutare le persone a rispettare l’altro. Oltre alle iniziative della Fifa e della Uefa bisogna farlo anche nelle piccole cose, quando firmi gli autografi o parli con la gente”.

Leader si nasce o si diventa?
“Io ho sempre vissuto in questa maniera, senza fare solo ciò che basta soltanto a me ma cercando di dare sempre una mano agli altri. Non so se sia un pregio o un difetto, a volte ho fatto bene altre meno. Ad una certa età bisogna farlo per forza, anche se non hai il carisma e la forza, bisogna aiutare i più giovani. Ci tengo a farlo perché ho imparato dai grandi, in Nazionale e all’Inter. Questo è un gruppo sano, sono il primo ad essere amareggiato per come sono andate le cose quest’anno. Ne avevamo parlato a Brunico. Lì eravamo all’inizio del lavoro poi abbiamo lavorato anche durante tutto l’anno, abbiamo creduto in ciò che facevamo. Nel momento migliore ci siamo fermati poi per la pausa natalizia. Non è una scusa, è stato un anno che è servito a tutti per crescere”.

Marquinhos. Ha una dote naturale?
“Sì, ma ha anche una testa che l’aiuta. Zeman l’ha aiutato, gli ha dato la fiducia per iniziare, così come ha fatto per Lamela. Lui ha le sue caratteristiche, come Romagnoli e Castan. Sono veramente forti. Dobbiamo fare quello che tutti dicono che dovevamo fare. Bisogna dimostrarlo, bisogna dimostrare di essere un giocatore da grande squadra, di essere un giocatore da Roma“.

Con i brasiliani scherzi in vista del Mondiale?
“Sì, sarà un bel Mondiale. Ci tengo tantissimo a tornare e ci tengo all’Argentina. Anche loro meritano un’occasione in Nazionale perché sono forti, così come Marquinho. E tutti stanno aspettando Dodò“.

Cos’è cambiato con Andreazzoli?
“Sono cambiate le aspettative e le motivazioni. Si ha voglia di dimostrare anche se Aurelio ci conosceva meglio di chiunque altro. Gennaio e Febbraio sono stati mesi difficili, siamo tornati dall’America e abbiamo perso qualche partita, anche facendo buone gare. Non riuscivamo a decollare, a volte si vedeva l’idea zemaniana ma ad un certo punto la società ha deciso di cambiare. Credevamo in quello che facevamo e pensavamo che prima o poi avrebbe pagato il lavoro”.

Come hai reagito all’infortunio?
“Posso fare diverse analisi. Non mi sono fermato mai da quando sono tornato. Mi hanno aiutato tantissime persone qui dentro. Il ginocchio è una battaglia vinta insieme allo staff medico. La parte atletica e tecnica voglio migliorarla sempre. Quest’anno abbiamo concesso tantissimo difensivamente. A volte sembrava facile per gli avversari. Questo a me come difensore dà fastidio. Ora questo è cambiato un po’. Dobbiamo crescere e anche io devo farlo a livello individuale”.

Cosa pensi della difesa a tre?
“Sta dando risultati, siamo sempre coperti. La cosa più visibile è che la qualità delle giocate avversarie non è quella di prima, quella facilità di prima che c’era per via dell’attenzione al calcio che voleva il mister Zeman. Ora abbiamo quasi sempre la partita in mano. Pensi di poter vincere in qualsiasi momento”.

Quali gli obiettivi di questa Roma? La Champions è possibile?
“Manca ancora tanto. Ci aspettano partite difficili piene di scontri diretti. In questi momenti vengono fuori gli attributi di una squadra”.

A Palermo quale approccio servirà?
“Bisogna preparare la partita con attenzione. Il calcio italiano non ti lascia nulla. Bisogna cercare di vincerla senza pensare al derby”.

17 aprile: come affrontare l’Inter e quali sono le chances di centrare la finale?
“Sarà una partita importante. Abbiamo l’obbligo di arrivare in finale di Coppa Italia. Sarò squalificato ma chi entra non fa risentire l’assenza degli altri. Si è visto in tutte queste ultime partite. Quella gara bisognerà affrontarla alla stessa maniera, cercando di far male, attaccare e essere sempre coperti”.

Ti ha colpito la maturità nella pazienza dei tifosi?
“Che posso dire, loro sono fantastici. Hanno passione per il calcio e per la maglia. Una fedeltà unica. Mi auguro di vincere per accontentarli. Uno vuole vincere, al di là di tutto. Questi due anni ci sono serviti, a tutti. Per credere in ciò che facciamo e dove vogliamo arrivare. Dobbiamo sempre lottare per vincere”.

Tante le iniziative della società quest’anno…
“Credo questo sia la via per cambiare. C’è una ristrutturazione del calcio italiano da fare, per migliorarlo, per riportare le famiglie negli stadi. In Argentina c’è venerazione per il marchio Italia”.

Su Messi
“E’ straordinario. Come un calciatore è come un bambino: vuole divertirsi, allenarsi, giocare. Non pensa ad altro. Come persona è molto semplice. Uno non può essere diverso come persona rispetto a come gioca. Fa 90 gol l’anno e festeggia sempre come fosse il primo. Non si lamenta mai, non rimprovera, non cerca alibi. E’ bello da vedere. E’ difficilissimo fermarlo, si propone, ti salta. Ce ne sono difensori in grado di farlo, come Samuel ai tempi della Roma. Non a caso era chiamato The Wall”.

Totti: definiscilo in una parola.
“Che posso dire? E’ unico. E’ un mito. Lo sta diventando per i gol e per quello che sta dando alla squadra. Penso stia meglio rispetto a quando sono arrivato 3 anni fa. Fisicamente sta bene, mentalmente anche. Aiuta i compagni, non si fa mai i problemi, ha sempre umore buono. Mi ricorda un pò Zanetti. Ti aiuta a non farti problemi”.

C’è un soprannome in cui ti riconosci? Il Bandito?
“Mi dicono anche “Scarface”. In Argentina non ce l’avevo. Mi chiamavano “padroncito”. A Milano nessuno mi ha mai dato un soprannome, qui in un mese si. Bellissimo”.

Il soprannome è per alcuni tuoi interventi duri…
“Io sono istintivo. Basta vedere nella gara di Udine nell’intervento di Muriel. Mi sono reso conto che non dovevo lanciarmi. Devo essere più pensante che istintivo. Andreazzoli mi sta aiutando. Uno non finisce mai di imparare. Penso che adesso bisogna continuare su questo passo”.

La fascia da capitano?
“Un orgoglio. Ci tenevo a vincere non in maniera egoistica perché è una cosa bella. Ci tenevo a farlo nella maniera giusta. Avevamo perso contro il Parma sotto il diluvio, a Chievo con la neve. A Bergamo abbiamo fatto una partita da guerrieri. Ci tenevo per cambiare la tendenza e far vedere che quando c’è da lottare, la squadra c’è”

Marco Pennacchia

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