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Andreazzoli: “Roma, sono l’uomo per te”

Intervista all’allenatore giallorosso

Andreazzoli

INTERVISTA ANDREAZZOLI / ASROMALIVE.IT – E’ l’uomo del momento. Arrivato lui alla Roma, tante cose sono cambiate, e per ora sembra soprattutto in meglio. Il Messaggero pubblica oggi un’intervista esclusiva ad Aurelio Andreazzoli. Leggete le sue parole.

Andreazzoli, che cosa si prova a diventare famosi?
«Mi ha dato tanta energia».
Ma lei in realtà chi è?
«Un mediocre dilettante».
Il tecnico che più l’ha segnato?
«Sacchi per quelli della mia generazione ha rappresentato la svolta. Poi ho avuto un’amicizia importante con Silvio Baldini, siamo cresciuti in simultanea: lui ha il bernoccolo, è intuitivo».
Il suo allenatore modello?
«Sono gli altri che si devono ispirare a me, non io a loro».
Un tecnico emergente?
«Sia Luis Enrique che Montella hanno qualità per emergere. Stramaccioni? Conosco meno i suoi metodi, e posso dare un giudizio sulla persona: meritevole ma per il lavoro non lo conosco. Seguiva molto Spalletti».
Con Andreazzoli un ritorno alla normalità.
«Mi piace molto questa parola, la sento mia ma non la uso molto come etichetta perché fu usata da Spalletti e non vorrei abusarne».
Il rapporto con Zeman? 
«Ottimo. Io ero a disposizione, se ne avesse avuto bisogno. Ho avuto modo di vedere molte cose che mi sono piaciute e che stiamo usando anche ora. Le cose tra noi non sono funzionate per mancanza di sinergia. Ora c’è unità d’intenti».
Il calcio come professione e passione?
«Va interpretato come un gioco, non deve diventare una professione da timbro del cartellino».
La prima cosa che ha detto entrando nello spogliatoio?
«Non ho parlato di calcio perché secondo me servivano altre cose. I giocatori sono fruitori di energie esterne, quindi il lavoro è cominciato creando un gruppo di lavoro. Poi ho parlato alla squadra e ho reso tutti partecipi di quella che era la mia strada. E ho chiesto di seguirmi».
La Roma può arrivare in Champions League?
«Le racconto un aneddoto di oggi (ieri, ndr): abbiamo fatto un allenamento che mi ha dato un’energia incredibile. Al termine i pochi tifosi in piedi sulle macchine al di là del muro ci hanno applaudito. La Champions è difficile, non illudiamo la gente. E potrebbe non bastare vincere tutte le partite».
Conosce l’ambiente e tanti giocatori: è un vantaggio?
«Non c’è dubbio. Credo che la società, rischiando, mi ha scelto anche perché conoscevo la struttura. Due anni fa avevo già detto sì alla Fiorentina per tre stagioni. Mi chiamò Corvino per fare il secondo di Mihajlovic. E sarei stato a cento chilometri da casa. Sabatini mi convinse a restare a Trigoria e mi offrì cinque anni. Il mio ruolo? La memoria dello spogliatoio».
Lei ha mai notato un momento di difficoltà di De Rossi?
«Sì, come lo avete visto voi da fuori. Alle base c’è una condizione fisica non ideale, ma ci vuole poco per vederlo tirato a lucido».
Come mai s’è posto in maniera poco umile al momento dell’insediamento a Trigoria?
«Non è stata una scelta comunicativa. Io sono così».
Un sergente di ferro.
«Ascolto tutti, dal primo collaboratore all’impiegato. Ma a Trigoria tutti sanno che non si fa niente che non lo abbia deciso io. E ieri mattina, per la prima volta, volevo cacciare uno dal campo. Aveva poca voglia di fare un esercizio».
Dire alla prima intervista «so cosa fare, come farlo e con chi farlo», è stata una grande dimostrazione di carattere.
«Io sono sicuro di quello che faccio. Individuo un obiettivo e conosco la strada per perseguirlo. Chi sta con me, bene; altrimenti sta fuori».
Adesso sembra un ambiente più sereno.
«C’è più sinergia rispetto a prima. Ognuno dà il suo piccolo contributo, che può essere determinante per un risultato. Quel famoso 0,2 per cento che avevo chiesto, come chi ha suggerito di fare il riscaldamento contro la Juventus sotto la Sud, come chi ci ha regalato un video, che ho fatto vedere ai ragazzi e che su di loro ha avuto un effetto emozionale».
E il riscaldamento sotto la Sud: idea sua o del gruppo?
«Di un tifoso. Io ho detto sì e il gruppo ha trascinato anche i panchinari. Il nostro posto è lì. Continueremo a farlo e non solo dopo una vittoria. Anche dopo un pari o una sconfitta. Il pubblico è decisivo, spero di vedere contro il Genoa la stessa cornice della gara con la Juve».
Quanti giocatori non le danno del tu?
«Beh, non sono molti… Quando ho parlato con Taddei, che conosco da otto anni e che è mio amico, lui mi ha dato del lei, io l’ ho guardato e gli ho chiesto: Rodrigo, ma che stai facendo? Lui mi ha risposto imbarazzato: ma adesso i ruoli sono cambiati… Falla finita, gli ho detto».
A Bergamo Romagnoli, il più piccolo del gruppo, a fine gara le ha riempito la testa di neve…
«E io cosa ho fatto?».
Se l’è abbracciato.
«Esatto. Ma durante la riunione del martedì l’ho sistemato davanti ai suoi compagni che ridevano come matti».
Come con Spalletti, sono tornati gli schiaffi in testa per festeggiare un gol o una vittoria…
«All’epoca ero io a darli, ora li prendo…».
«Perché non ci hanno pensato prima?»: Perrotta l’avrebbe messa in panchina da tempo.
«Le racconto il messaggio che Simone mi ha inviato il giorno della mia promozione: ”Ora non ti posso più abbracciare”. E io per metterlo in difficoltà, appena lo vedo gli salto al collo. Anche davanti ai dirigenti».
I maligni sostengono che lei abiti a Trigoria perché tirchio.
«A Trigoria ho tutto per vivere alla grande, non mi manca niente. Sapete quanto ci impiego per andare al lavoro? Quarantacinque secondi. Cronometrati. Ho tenuto la mia stanza, la numero 3. La 1 non la voglio…».
Baratterebbe la sua stanza di Trigoria con una vittoria in Coppa Italia contro la Lazio?
«In questo caso sì. Vinco la Coppa e vado via».
Il suo momento più difficile il rigore di Osvaldo a Genova?
«È stato un problema solo per chi ne ha parlato tanto. Ricominciamo: è scontato che i rigori li tiri Totti come lo è respirare per una persona. Quando ho visto che Osvaldo andava sul dischetto, mi sono chiesto: perché? Poi ha tirato, ha sbagliato e il martedì successivo abbiamo messo i puntini sulle i con i diretti protagonisti».
Ha pensato di sostituire immediatamente Osvaldo?
«Forse avrei conquistato la stima di un’intera città, ma avrei perso Osvaldo».
Senza Totti, chi avrebbe tirato un rigore a Bergamo?
«Osvaldo. Ho attaccato al muro la lista. Il vice era Pjanic e il terzo Lamela».
Chi vincerà lo scudetto?
«La Juventus?»
Come è il suo calcio?
«La teoria nel calcio è importante. Il calcio non è solo uno sport, è scienza. Lo schema attuale? Un 3-2-5, un po’ quello che facevamo a Udine. Quando sono entrato a Coverciano con la borsa della Lucchese quasi mi vergognavo. Sono uscito a petto in fuori, primo su quarantasei di quel Master, con la tesi sulle palle inattive contro e a favore. Dormivo in stanza con Spalletti o Delio Rossi. La figura storica, però, in quei giorni fu il maestro del corso: Franco Ferrari»
Meglio la Roma di oggi o quella di Spalletti?
«Con Luciano eravamo proprio forti: la squadra aveva preso coscienza del proprio valore e proponeva un gran bel gioco. Questa ancora no. Dobbiamo trovare l’equilibrio quando siamo in possesso, non il contrario: è questa la vera rivoluzione».
Nico Lopez è giocatore vero?
«Sì, secondo me arriva. Ma è una prima punta».
E Marquinho? Per lui ha una vera cotta…
«È forte forte. Ha tutto. È uno che viene da me e mi dice: mister, mi faccia fare». 
Quanto è importante Lobont?
«Mai visto uno con quel carattere. È un uomo spogliatoio eccezionale». 
Piris? 
«Uno sempre da 6,5 o 7. Un ottimo centrale. Ditemi: chi ha due centrali veloci come Piris e Marquinhos?».
Lei avrebbe confermato Pizarro?
«Sicuramente. Il Peq sarebbe ancora qui».
Lo staff del prossimo anno: chiederà a Spalletti di farle il vice?
«Luciano non può farmi da secondo, lui sa fare solo il primo. Quindi con me non ce lo vorrei. È Domenichini il miglior vice del mondo»
valerio de santis

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