Alcune riflessioni sulle cause che hanno portato la squadra ad un calo vertiginoso negli ultimi due anni
ROMA QUESTA SCONOSCIUTA / ASROMALIVE.IT – Dieci vittorie, dieci sconfitte e quattro pareggi in ventiquattro partite. Un bilancio davvero misero. Qualcuno, ad inizio campionato, aveva addirittura affermato che, nei suoi effettivi, la Roma fosse inferiore, sulla carta, alla sola Juventus. Allora, se diamo per buona quest’ipotesi, il fallimento risulta ancora più grave. Il problema della piazza romana è sempre stato quello di trovare un capro espiatorio. Perché, alla fin fine, la colpa è di tutti. Prendiamo ad esempio la dirigenza. In due anni, si è pensato principalmente all’immagine, alla visibilità internazionale, alle tournée, a Topolino e Paperino. Ma dov’era questa gente nel momento in cui serviva semplicemente mettere la faccia o, molto più banalmente, difendere i propri giocatori? Questa gente quante volte è stata a Trigoria? Quante volte è stata di supporto per quegli elementi forse troppo giovani per reggere la pressione di una piazza del genere? Quante volte si è visto un dirigente emozionarsi sia in modo negativo che positivo per la Roma? In questo senso, fa troppo male vedere l’immagine di un presidente che urla come un indemoniato dopo un gol in un derby. Un’istantanea che sa di un passato troppo remoto.
Tuttavia, a rifletterci bene, le colpe sono anche di chi va in campo. Perché, a vedere la Roma, tutto viene in mente tranne che il concetto di gruppo. Vien da pensare, piuttosto, ad un insieme di individualità. Tante prime donne che pensano ad affermare le proprie qualità. Conta più l’affermazione del singolo, allora, rispetto a quella del collettivo? Insomma, per dirla in parole semplici, spesso è sembrato che ognuno, a Trigoria, si facesse i cavoli propri. C’è anche chi, d’altra parte, non crede nelle proprie qualità; chi non è maturo al punto giusto per affermarsi e necessita magari di altre esperienze prima di poter vestire questa maglia. Anche in questo caso, però, si tratta di un aspetto negativo verso la riuscita di gruppo.
In questo gioco infantile sono caduti anche Luis Enrique e Zeman con la loro inflessibilità, che spesso li ha portati a compromettere dei rapporti con degli elementi importanti per la squadra. Insomma, tensioni del genere non hanno certo aiutato a cementare il gruppo ma anzi ad accrescerne la competizione. Inoltre, gli due tecnici che sono stati sulla panchina giallorossa non hanno mai voluto apporre modifiche al loro credo calcistico ne hanno mai pronunciato queste semplici parole: “Ho sbagliato anch’io” (forse Luis Enrique lo ha fatto solo alla fine, a stagione ormai compromessa).
Da due anni a questa parte, la Roma sembra essere tornata la squadra di metà classifica degli anni ’90 ma a qualcuno forse sta anche bene così, dato che ha detto: “Roma non è abituata alla vittoria, probabilmente nemmeno le manca” (parlando poi in terza persona, come se si trattasse di un qualcosa di estraneo). Quel che più fa male, non è tanto la crisi momentanea o l’assenza di risultati. Quel che fa male è vedere che la Roma sta diventando la vetrina che tanti talenti ventenni usano per mettersi in mostra. Una sorta di trampolino di lancio e non un punto di arrivo. Non più una delle big del calcio italiano ma una provinciale. E c’è da aspettarsi che anche la prossima campagna acquisti punti su nomi sconosciuti o che non hanno comunque una grande esperienza.
Insomma, qualcuno faccia qualcosa per riaccendere un sogno. Qualcuno faccia capire a tutti loro che si sta parlando della Roma.
Marco Pennacchia