CINEMA MORTE MARIO MONICELLI / ASROMALIVE.IT – Sembra quasi di sentire ancora ora, chiare e nitide, le parole di Fabio Fazio che, interrotta la scaletta della trasmissione Vieni via con me, con visibile commozione, afferma: ”E’ arrivata la notizia che è morto poco fa Mario Monicelli. Una persona che avremmo tanto voluto in questa trasmissione. Era malato, era ricoverato e…non c’è più”. Era il 29 novembre di un anno fa.
Ci son registi di cui non si riesce ad accettare la scomparsa. Come se essa fosse impossibile, innaturale. Sembra quasi assurdo pensare di non poter più vedere un loro nuovo film. E’ quel che accade anche nella musica. Alcune star possono acquisire lo status del mito, ottenere un alone di immortalità ma, paradossalmente è proprio la morte che poi li fa diventare leggende. Parliamo, però, in genere, di vite stroncate troppo presto, perché si sa che chi muore giovane è ancora più artista. Meglio vivere ardendo che spegnersi lentamente scriveva qualcuno. Ebbene, Mario Monicelli, invece, è scomparso a 95 anni suonati. Il bello è che ha deciso lui di farlo. Ricoverato per un cancro alla prostata in fase terminale, nell’ospedale di San Giovanni in Roma, ha pensato di porre fine ai suoi giorni gettandosi dal quinto piano del reparto di urologia.
E’ finita così un pezzo di storia del cinema. Una storia fatta di capolavori come La grande guerra, L’armata Brancaleone, Amici miei, Un borghese piccolo piccolo, I nuovi mostri, Il marchese del grillo, Parenti serpenti, Cari fottutissimi amici. Una storia che è stata una vera e propria lente del Paese. Si potrebbe dire che il suo I soliti ignoti, del 1958, abbia sancito l’inizio della commedia all’italiana. Una storia in cui grandissimi protagonisti del cinema italiano hanno spesso dovuto abbandonare il proprio registro per cimentarsi con quello opposto. Una storia dove l’ironia l’ha fatta da padrone: a vedere un film di Monicelli si prova sempre una sensazione agrodolce. Si sottolinea il male con la risata. I nuovi mostri ne sono un esempio. E che dire di Parenti serpenti? Per non parlare poi di La grande guerra. Il tragicomico, con Monicelli, ha trovato la sua consacrazione. Si potrebbe dire umorismo nero? No, non sarebbe esatto. Si tratta di un qualcosa di molto più complesso: una riflessione ironica che si tramuta in un pugno nello stomaco. Dopo aver visto quelle pellicole, si aveva quasi la paura di guardarsi allo specchio. Ci si chiedeva: ”ma davvero l’essere umano è anche questo??”.
Anche il padre di Monicelli morì suicida nel 1946. Di questo tragico episodio, il regista disse: ”Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena. Il cadavere di mio padre l’ho trovato io. Verso le sei del mattino ho sentito un colpo di rivoltella, mi sono alzato e ho forzato la porta del bagno. Tra l’altro un bagno molto modesto”.
A 92 anni, tre prima della sua morte, Monicelli spiegò il motivo per cui viveva da solo: ”Per rimanere vivo il più a lungo possibile. L’amore delle donne, parenti, figlie, mogli, amanti, è molto pericoloso. La donna è infermiera nell’animo, e, se ha vicino un vecchio, è sempre pronta ad interpretare ogni suo desiderio, a correre a portargli quello di cui ha bisogno. Così piano piano questo vecchio non fa più niente, rimane in poltrona, non si muove più e diventa un vecchio rincoglionito. Se invece il vecchio è costretto a farsi le cose da solo, rifarsi il letto, uscire, accendere dei fornelli, qualche volta bruciarsi, va avanti dieci anni di più”.
Ebbene, forse questo è un altro motivo del suo gesto. Tuttavia, se vogliamo aggiungere un’altra descrizione della ”storia del cinema” disegnata da Monicelli a quelle fornite sopra, potremmo dire semplicemente che, nonostante il tempo dica il contrario, avremmo voluto che quella storia durasse ancora tanto.
Marco Pennacchia
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