AS ROMA INTERVISTA BALDINI / ASROMALIVE.IT – Nell’edizione odierna, La Stampa propone un’intervista esclusiva a Franco Baldini. Il dg giallorosso tocca diversi temi, fra cui anche la sfida con la Juventus di domani sera. Ecco alcuni estratti dell’intervista:
IL PARAGONE TRA JUVE E ROMA – “Loro hanno fatto grandi investimenti, hanno preso giocatori pronti subito, noi da crescere. E poi l’abitudine alla vittoria, la Juve ne percepiva la mancanza come una condizione dolorosa, e questo ha prodotto una forte determinazione. La Roma non è abituata alla vittoria e nemmeno le manca, probabilmente. Noi abbiamo chiesto agli americani di tornare a vincere, per favore, e il più in fretta possibile. Non possiamo lamentarci dei soldi che ci hanno messo a disposizione ma l’obiettivo è l’autosufficienza finanziaria.
SU ZEMAN – “A Zeman date tempo. E poi c’è Totti: lui non ha le caratteristiche della punta tipica del tridente di Zeman. Quindi complimenti all’allenatore che sta valorizzando un giocatore formidabile, anche a costo di rivedere il proprio credo. Non è Zeman che fa le battaglie. E’ Zeman a essere cercato perché possa dire qualcosa che somigli a un grido di battaglia. Io dico che i regolamenti vanno rispettati. Se consentono a Conte di allenare durante la settimana, allora alleni. A bocce ferme, si potrà discutere se certe norme meritino di essere cambiate”.
SULLA GESTIONE AGNELLI – “Vincente. Da noi, più che altrove, chi vince ha sempre ragione. Ed è un peccato perché tra le pieghe di un mancato successo si perdono di vista tante cose interessanti. Ad esempio il tentativo di portare un contributo alla cultura sportiva di questo paese, una cultura che non esiste”.
I RAPPORTI CON LA JUVE – “I rapporti sono buoni, non è un segreto che anni fa la proprietà (John Elkann, ndr) mi abbia persino chiamato. Non accettai la proposta perche’ ero la persona sbagliata nel posto sbagliato. Per 4-5 anni ci siamo scontrati in Lega calcio sui diritti tv, loro li volevano soggettivi, la Roma di Sensi, la mia Roma, era per la collettivizzazione. Lavorare per la Juve significava ammettere che in tutti quegli anni avevo detto solo stupidaggini in passato i miei problemi con chi rappresentava quella Juve nascevano da uno stato d’animo di ribellione contro l’arroganza e l’abuso di potere. Mi hanno persino tolto il piacere di tifare per una squadra italiana nelle coppe. Il rischio che corro, essere dileggiato e infangato da chi vuole conservare lo status quo. Prevengo l’obiezione sul mio coinvolgimento in Passaportopoli, da non responsabile per la giustizia sportiva e ordinaria, ma è vero che si diventa quello che si è anche grazie agli errori. Dipende dall’uso che ne fai. Uno dovrebbe stare zitto per sempre perché nel 1952, faccio per dire, ha fregato un vasetto di marmellata? Se il sistema non ti piace provi a cambiare le cose”.
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