Forse l’addio era inevitabile, ma non toglie l’amarezza per come sia andata questa stagione per un allenatore stimato e ammirato da tutto l’ambiente giallorosso
LUIS ENRIQUE GARLANDO / WEB – Molto appropiata la metafora che utilizza L. Garlando sulla Gazzetta dello Sport: Luis Enrique ha attaccato i mulini con coraggio, ma i mulini hanno vinto.
Cos’è che è andato male? Perchè i famosi mulini sono riusciti a “Agganciarlo per le braghe facendogli fare il giro: 14 sconfitte in campionato“? Secondo il giornalista la vera questione è stata l’inesperienza del tecnico alle prime armi con il mondo del calcio italiano. E’ vero che Montella ha quattro anni in meno e solo la scorsa stagione allenava i Giovanissimi. La differenza è che “Montella in mezzo alle difese italiane ci è cresciuto, le ha studiate dall’interno e oggi sa come attrezzarne una“.
Fatto è però che sebbene a cavallo del suo ronzino sconfitto Luis Enrique non è passato invano e Garlando spiega: “Ci ha ricordato che il calcio è quella cosa allegra che corre verso il gol. Da buon apostolo, ha raccontato la parabola di Guardiola: «Alla base di tutto c’è il divertimento del passaggio. Il pallone è il giocattolo: chi lo tiene di più, gode di più. (…) Che una squadra ha bisogno di regole e di rispetto. Pochi hanno compreso la durezza dello spagnolo nel punire Osvaldo, che ammaccò Lamela, e ancor meno, la rinuncia a De Rossi, colpevole di un piccolo ritardo. Semplice: è l’intransigenza dell’applicazione che rende forte la regola“.
In poche parole, “Il sospetto forte è che, sotto questo nostro cielo di sentenze poco intransigenti e di stelle ballerine, la leggerezza ideale dell’asturiano ci mancherà”.